2018 Un anello fra Albania – Macedonia – Grecia

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2018 Un anello fra Albania – Macedonia – Grecia

Chissà perché le zone Balcaniche suscitano questa nostra curiosità?

Ancora alquanto ignote sono però state elevate all’attenzione dalle vicende negli ultimi decenni per vari e infelici motivi.

Pur consapevoli del poco tempo che abbiamo a disposizione e come riflesso ai classici e ostentati percorsi ciclistici ci tuffiamo in luoghi alieni ma che stanno già diventando la meta di una nuova forma di turismo, attento e curioso, sportivo.

Questa volta l’attenzione è rivolta verso la soleggiata Grecia e si sposta un poco più a nord, presso i laghi macedoni cercando poi di preventivare un giro ad anello… o quasi.

Studiando un poco le logistiche, l’Albania entra di prepotenza nel gioco e ne diviene la parte più interessante.

Non mi piace viaggiare in solitaria se non ne sono costretto per cui spargo la voce per trovare qualche compagno di viaggio le cui buone intenzioni siano confermate fino alla partenza, perché spesso quando il momento si avvicina gli intralci sono sempre pronti a sbarrarti la strada.

 

TOUR 2018 > Albania – Macedonia – Grecia

Fortuna vuole che tutto vada liscio e ci si trova al porto di Ancona in 5 armati di “belle speranze”.

Di notte, sul ponte del traghetto, i sacchi a pelo sul ponte si gonfiano colti da un inaspettato vento; il mattino vede lo sbarco nel grande porto di Durazzo.

Il mio immaginario di Albania è legato a vecchi documentari degli anni 80, quasi mi aspetto un panorama in bianconero con casupole basse e persone in costume tradizionale, cenci, muli…. invece sembra di sbarcare in un porto mitteleuropeo.

Francesco con dovizia scrupolosa ha allertato un amico albanese che lavora in Italia ma che è ora in ferie al suo paese, Durazzo.

Ovviamente non è l’euro la moneta locale e l’amico albanese ci accompagna in un ufficio dove si può fare un cambio in Lek senza sorprese.

Abbiamo il pomeriggio per coprire quei 40 km fino a Tirana che sarà la prima meta e base di partenza nella direzione dell’interno albanese.

Avevo pianificato una linea diretta verso il confine macedone e il lago di Ohrid ma questa corre lungo una strada statale che, visionandola precedentemente con Google Maps, appare assai poco interessante soprattutto in virtù di una ambita “immersione” in terra locale.

Mi informo su vie secondarie e ricevo finalmente interessanti indicazioni… ma, oltre gli asfalti più battuti, le vie minori sono perlopiù strade bianche, sterrate, talvolta larghe mulattiere solcate da camion stracarichi di legname e Mercedes con velleità da fuoristrada. Le nostre bici sono ben strutturate ad affrontare questi percorsi… le nostre intenzioni anche.

Intanto giungere a Tirana , apparentemente semplice, diventa all’uscita di Durazzo un giro dell’oca che riporta sempre al’autostrada, decisamente da evitare. Poi finalmente si trova la via giusta grazie alle indicazioni dei locali che scrutano la nostra mappa dettagliata e indicano ora da una parte ora dall’altra. Occorre mediare un po le indicazioni contrastanti in questa babele di voci e gesti.

Molto più tardi di ciò che si era previsto e comunque non al buio raggiungiamo la capitale e attendiamo un altro amico sempre contattato da Francesco, che dovrebbe condurci ad un albergo…. anche se nel frattempo le persone disponibili per strada ci hanno già dato indicazioni utili, stavolta in lingua italiana.

Le informazioni raccolte prima della partenza assicuravano che buona parte della popolazione parlasse un poco la lingua italiana anche grazie alla ricezione di alcune nostre emittenti tv; la realtà smentisce questa voce, almeno dove abbiamo viaggiato. Chi parla italiano è perché ha lavorato nel nostro paese e generalmente sono quelle persone che si avvicinano per curiosità e per scambiare un po di chiacchiere.

Nonostante qualche difficoltà a farsi comprendere, anche con gesti inequivocabili, la disponibilità è massima, talvolta eccessiva…. comunque sempre rassicurante.

Tirana è una grande città, vivace, trafficata, moderna nella sua nascente ristrutturazione.

Prima di prendere la via dei monti facciamo un giro nel centro per guardarci un poco attorno rammaricandoci di non avere tempo per una visita approfondita… ma anche alla ricerca di una “italica” colazione. L’uscita stavolta è veloce, attraversiamo vie di traffico intenso, cantieri di lavoro e strade in costruzione… ed ecco che le prime salite si parano di fronte; pochi km e dobbiamo subito lottare con alcune curve al 15%. Poi la strada calma un poco ma con pendenze sempre ragguardevoli e si arrampica senza soluzione di continuità. Sappiamo bene che l’Albania ha ben pochi tratti di pianura e che sono attorno a quei letti di fiume dove ovviamente corrono le vie principali. Tutto il resto è montagna. Il nostro pedalare è agile mentre Gianni, a causa di una rapportatura più stradale rispetto alle nostre bici, sta già spingendo duro.

Non passano che alcuni km che Gianni si rende conto che è difficile tenere la nostra ruota sebbene l’incedere è decisamente “turistico” e votato al risparmio di energie.

La triste decisione è di lasciare questa via e percorrere la statale in basso e ricongiungerci con noi fra un paio di tappe. La scelta è saggia.

Ognuno è autonomo e pronto a cambiare rotta in caso di difficoltà o ricerca di altri itinerari, questa era una “norma” condivisa prima di partire.

La via continua a salire e di tanto in tanto emergono alcune costruzioni che hanno tutta l’intenzione di passare per alberghi montani, qualcuna riuscita qualcuna meno.

Qualche cartello indica una zona naturale protetta.

Poi la strada asfaltata termina nei pressi di uno spazio da cantiere e di un bivio. Indecisi su quale via prendere , se quella in discesa o quella in salita, puntiamo

direttamente alla costruzione che pare un bar giusto per integrare i liquidi persi.

Le nostre richieste presso alcuni operai cantonieri trovano risposta nel seguire la strada che resta in quota e che si alterna in saliscendi ma che diviene sterrata da quasi subito. Non aspettavamo che questo!

Intanto anche la vegetazione si infittisce e dall’alto si intravedono specchi d’acqua come grandi occhi azzurri nel mezzo del verde montano.

La traccia gps che abbiamo non sempre è corrispondente alle indicazioni locali ricevute, riteniamo queste ultime più affidabili. La mappa cartacea non riporta altimetrie doviziose per cui risulta abbastanza confuso predeterminare i tratti successivi.

Finalmente imbocchiamo uno sterrato ben percorribile e meno noioso dell’asfalto, che da’ quella “ruvidezza” che sa un po più di avventura. Ad un gruppo di case incontriamo alcuni motociclisti italiani accompagnati da una guida locale; sono sorpresi di vederci con le bici. Ci indicano la via che, naturalmente, non pare agevole a prima vista… e non lo è! Intanto un nuvolone grigio oscura il sole, la mia speranza è che slitti altrove lasciandoci illesi ma non è così.

Nel mezzo del bosco comincia a piovere copiosamente e il tracciato diviene presto un torrente dove le nostre ruote si immergono nella speranza di non incappare in fondi avversi.

Nonostante le giacche antipioggia siamo abbastanza zuppi anche se è piuttosto caldo. Non c’è alcun riparo. Improvvisamente si intravvede alle nostre spalle una capanna al culmine di una salitella; facciamo dietro front e risalendo un corso d’acqua piovana e merda ovina raggiungiamo la capanna presso un ovile.

Ci infiliamo dentro dove già un gruppo di giovani pastori si sta riparando. Al momento non proferiamo parola, solo un gesto che sta ad indicare che non potevamo fare altro.

Poi partono le chiacchiere cercando di mediare un po di italiano con un po di inglese e un po di gestualità.

Mi guardo attorno, all’esterno per vedere se il meteo cambia e se c’è una possibilità di ripartire o quantomeno di piantare le tende da qualche parte (??); guardo all’interno per verificare la fattibilità di dormire nella capanna ma siamo già in troppi e il pavimento, anche con un forte spirito di adattamento, non è certo nelle condizioni per appoggiare un materassino o un sacco a pelo.

La soluzione ultima viene dal pastore che pare sia il più grande e il portavoce del gruppo (perché è l’unico che si sa esprimere un poco): dice che il fratello deve raggiungerli con un pickup a breve e potrebbe caricare le bici e darci un passaggio verso il primo paese più vicino.

Sicuramente il ragazzo ha visto anche l’opportunità di raggrannellare qualche euro.

La proposta è accettata e poco dopo, mentre ancora sta piovendo, parte il mezzo stipato di gente, biciclette, bagagli.

Il trasporto dura un’ora buona passando da vie in discesa che il fuoristrada percorre con marce ridotte, dribblando fossi e buche, in luoghi di cui solo in maniera decisamente approssimativa riesco a percepire la posizione topografica. Avessimo percorso in bici questa strada, nel caso fosse stato possibile, non sono sicuro saremmo arrivati a qualche destinazione.

Arriviamo a Verrì, gruppo di case di diversa foggia con al centro qualcosa di simile ad una piazza. Sganciamo una buona cifra ai pastori: per loro è stato un affare, per noi è stato un servizio di cui non avremmo potuto fare a meno. Talvolta ricoprire il ruolo poco etico di “americani” ha qualche vantaggio. In una casa che sembra un bar troviamo da dormire e da mangiare: ci viene allestita una stanza con quattro brande e uso bagno. Intanto rispunta il sole e approfittiamo degli ultimi momenti di luce per cercare di fare asciugare quanto più roba possibile. Cena rimediata e ricca di cose da gustare, l’immancabile birra e le chiacchiere dei padroni di casa e di un fanfarone che ha lavorato in Italia e che sa parlare assai bene la nostra lingua. Naturalmente il giorno prima eravamo scesi di quota e, ora, al mattino ci aspettano 7 km di salita in fuoristrada; le indicazioni sono inequivocabili “ tutta salita impegnativa fino al crinale”. Non c’è altro da fare che mettersi nella condizione di soffrire sperando che si giunga in fretta all’apice. Si passa da Shengergi, gruppo di casupole rurali che in zona fa comune, pestando una pista fatta di sassi e solchi dove solo qualche camion russo 4×4 sale lentamente lasciando il passo solo a qualche auto scassata. D’un tratto a Renato si sgancia il portapacchi con tutto il bagaglio quasi fosse il ribaltabile di un camion. Un vitina ben serrata e si rimette a posto il tutto. Questo e un paio di forature è tutto il problema tecnico occorso nell’intero viaggio.

Francesco pedala con la forza dell’età (è il più giovane) e se la cava assai bene pur non avendo una bici specifica per l’offroad. Renato, da buon agonista, è sempre avanti e sicuramente il suo sforzo è pari al 70% del nostro, in più pedala con i sandali senza pedali agganciati. Vanni è un trattorino che procede alla propria e costante velocità, non si ferma mai. Io cerco di difendermi, con qualche problema alle ginocchia, che tengo sotto controllo, e lo sfogo di qualche anatema alle divinità. I luoghi sono suggestivi, verdi, silenziosi.

Con la soddisfazione di chi ha appena conquistato una cima alpina, dopo almeno due ore, arriviamo alla strada di crinale, questa lunga via aperta dai soldati italiani nei primi decenni del 900. Alcune persone ferme presso una baracca, probabilmente dei boscaioli, non comprendono le nostre richieste.

Non ci sarebbe molto da capire, chiediamo solo se la direzione per Librazhd è giusta e se c’è altra salita, gesticolando con la mano piegata in su… ma la risposta è del tutto simile, in un noto film, a quella del contadino che ripete di trovarsi a Frittole!

Ben poco importa , sappiamo che dobbiamo piegare a destra poi tirare diritto… quello che incontreremo lo valuteremo al momento.

Così in un alternarsi di salite e discese, in un alternarsi di verdi pianori arriviamo a Bize. Vedendo segnalato il punto sulla mappa si pensa già di fare una sosta birra ma quando vi giungiamo troviamo ruderi, pastori e greggi (sia pecore che …tacchini) e un campo NATO, alcuni tendoni/hangar e nessuno intorno, solo un soldato seduto davanti ad un tavolo e la bandiera spagnola issata. Un vago cenno al militare e proseguiamo: il luogo però è veramente bello… ma incredibilmente strano. Il sole non è costante nella sua apparizione come invece lo sono le nuvole che vogliono ancora riversarci la loro umida sorpresa. Il nostro sentore è che presto arriveremo ad un centro abitato… ma è una sbagliato; nel frattempo altre salite e altre discese si alternano, non riusciamo a determinare i km effettivi percorsi e il nostro riferimento sulla mappa e il gps non prende il segnale dentro al bosco. Giungiamo così ad uno spiazzo, ad un bivio e ad una fonte.

Poi seguiamo per logica la via più battuta che inesorabilmente sale … finchè vediamo un camion a rimorchio stracarico di legna che ondeggia procedendo a velocità minima, che ci viene incontro occupando paurosamente tutto il sentiero. L’autista, ai nostri gesti, frena faticosamente il mezzo e ci indica che la nostra direzione è nell’altra via lasciata in basso. Ritorniamo sui nostri passi per fortuna ora in discesa e riprendiamo la strada giusta.

Non ci accorgiamo nemmeno delle gocce che nel frattempo cadono ma meno del giorno prima, in compenso la nuova via è un alternarsi di grandi pozzanghere che all’inizio cerchiamo di evitare ma successivamente , non potendo fare diversamente, navighiamo direttamente.

In una curva troviamo un gruppo di giovani operai intenti in lavori di disbosco; noi chiediamo come raggiungere Librazhd e quanti km ancora ci separano, loro sparano boiate in albanese, probabilmente ci stanno prendendo per il culo e indicano 3 con le dita. Non sappiamo se sono 3 o 13 km ma la nostra speranza è che siano pochi. A breve usciamo dal bosco e si apre un vasto panorama sotto la strada; laggiù sulla sinistra si vedono anche alcune case … forse siamo arrivati. La discesa di questa via è lunga e lineare, però piega a destra allontanandoci da quelle casupole ma apre presto un nuovo panorama, su un’altra valle e finalmente su un paesino che crediamo sia la nostra meta. In realtà siamo giunti a Fushe Studen e Librazhd è distante ancora 24 km secondo le nuove indicazioni… quindi quelle famose 3 dita precedenti indicavano 30 km!! Però ci sono diversi bar e ne infiliamo subito uno prendendo d’assalto i pacchetti delle patatine e ciappini simili; naturalmente il tavolo si riempie di birra e bevande varie. Chiediamo se hanno qualcosa da mangiare e il gestore ci fa vedere un salma di agnello ma è da cucinare; il fuoco del camino però non si accende e ci dobbiamo accontentare di verdure varie, formaggio, pane e di tutto quello che il tipo riesce a trovare nella cucina. Rilasciamo un’intervista ad un blogger locale che promuove in rete il proprio territorio e contatta i turisti che capitano in questo posto remoto e riprendiamo a pedalare. La via sterrata, quasi in piano, piena di buche, ci costringe ad un dribbling continuo così come i ciclomotori carichi e le auto. Un’auto è ferma a lato con la ruota a terra, pare sia una scena consueta.

Da un punto più alto della strada si vede la via che serpeggiando scende per diversi km sul costone della montagna, vagamente ricorda le lunghe vie del medio oriente viste nei documentari o nei viaggi altrui;

ci hanno assicurato quasi due decine di km di discesa… ed infatti stavolta le indicazioni sono veritiere. Dopo circa 10 km la via diviene asfalto, evidentemente i lavori si sistemazione della strada sono arrivati fin qui, non sono andati oltre.

Nel pomeriggio inoltrato arriviamo a Librazhd: bella cittadina, animata dalla gente che passeggia per il centro.

Chiedendo a destra e a sinistra un signore gentilissimo, fino allo sfinimento, ci accompagna in un albergo. Passiamo la sera in un locale la cui pizza è buona come in Italia, immancabile la birra locale.

Al mattino partiamo pestando la statale che avevamo evitato fino a qui da Tirana; si spera sia poco trafficata e non particolarmente noiosa.

E’ un susseguirsi di saliscendi morbidi e di curve, il traffico non è pesante e stranamente i mezzi passano assai distante da noi: incredibile!

Una delle nostre paure era proprio quella di essere limati dalle auto o dai camion.

La statale corre lungo il fiume Shkumbin che cala da queste montagne, ricchissime di acqua, non lontano dal confine macedone. Ogni piazzola è una fresca fontana e ogni quattro case ci sono almeno tre ristori, non dobbiamo certo preoccuparci.

Si apre una piana e si giunge a Perrenjas, una cittadina che deve aver avuto un passato minerario o di lavorazione di alcune materie prime a giudicare dalle fabbriche e dalla ferrovia, tutto in disuso.

Poi come a guadagnare il bordo di un cratere la strada sale a tornanti lunghi e decisi fino al confine Albanese-Macedone. Ad ogni tornante diversi “lavaz” , lavaggi auto improvvisati, con gli omarini che chiamano tutti i veicoli come se il lavare l’auto sia una delle cose più importanti della giornata!

Accidenti la salita è lunga, l’odore dei freni bruciati dei mezzi che calano è frequente, il panorama è relativamente suggestivo.

In cima un bivio conduce alle due estremità del lago, quella a nord macedone e quella a sud albanese.

Giriamo a nord e in poco siamo alla frontiera.

Veloci formalità per noi che siamo in bici e già si scende verso il lago Ohrid in direzione della prima grande cittadina, Struga, dove dovremmo ritrovare Gianni che ci ha anticipato seguendo fin dall’inizio la strada statale.

Mah, a parte la lunga e comoda discesa, tutt’intorno non è un gran vedere, sebbene gli edifici mostrino una estetica ben gradevole a ciò osservato in Albania.

Personalmente mi aspetto di avvistare il prima possibile il luccicare delle acque del lago, anzi ho voglia di raggiungere le rive e cullarmi finalmente alla cadenza delle piccole onde.

La strada quieta e si torna a pedalare in piano entrando nella periferia di Struga.

Bruttino l’ingresso poi il centro prende forma e movimento e finalmente il lungolago, con i verdi marciapiedi, l’ombra degli alberi fin sulle arene, il caos di gente vacanziera, il traffico alternato di auto che va a passo d’uomo ma con la musica balcanica ad alto volume.

Molte targhe svizzere di automobilone guidate da locali, migrati all’estero per lavoro e ora tornati per le ferie ad ostentare i simboli di una conseguita fortuna.

Rintronati da questo bailame improvviso non resta che dileguarsi un po in un luogo tranquillo che, guarda a caso, è proprio attorno al tavolo di un dei ristoranti locali. Sempre meritatamente, non ci facciamo mancare nulla… mentre contiamo le volte che la stessa Audi ci passa davanti.

Al fine del pranzo contattiamo Gianni e cerchiamo di raggiungerlo nell’andirivieni per il centro paese. Lo ritroviamo all’hotel dove aveva trovato posto, seduto al tavolino nel cortile; con un’aria piuttosto rassegnata ci comunica che la sua condizione fisica non gli permette di continuare un giro che è parso duro fin dall’inizio forse anche a causa di qualche problema alimentare che non riesce a risolvere (le rane di Tirana?) e che vuole tornare pedalando con calma a Durazzo e rimbarcarsi per l’Italia. Comprensibile… anzi previdente, viste poi le altimetrie successive incontrate. Dopo i convenevoli di congedo, riprendiamo la via in cerca del luogo dove passare la notte. Costeggiamo il lago e, appena fuori la cittadina, l’ambiente ha già un’aria più dismessa. La via in piano ci consente di coprire molta strada ed arrivare ad Ohrid ma siamo già abbastanza stanchi nonché appesantiti da quello che abbiamo ingerito.

Ohrid ci si para di fronte su una collina e nessuna indicazione pare voglia facilitarci il compito di aggirarla. Siamo costretti a salire il paese vecchio e calare dalla parte opposta.

Ohrid è veramente un bel posto, una ciliegina nel lago: il vecchio paese è cinto da storiche mura e dalla cima si distende dolcemente sul lago fino alla parte più nuova, esteticamente gradevole.

Ma è sabato ed è strapieno di turisti che pare di essere a Riccione in piena stagione, non c’è il campeggio, non c’è una stanza libera neanche a pregare.

La mia pazienza è limitata da un’esigenza corporale che non riesco ad espletare e sono feroce come una jena! Finalmente ritrovo la serenità uscito da un proverbiale Sebach (cabina wc da cantiere).

Proseguiamo di qualche km per cercare una soluzione alla notte cercando dove è meno affollato: percorriamo un bellissimo lungolago con giardini, spiagge e piste ciclabili da fare invidia ad una cittadina danese. Presso un nucleo di case, vista l’insegna “camere”, chiediamo: siamo in 4 ma la camera è per due e viene già accordata a due ragazzotti giunti alle nostre spalle. Il giardino della casa è vasto e proponiamo al gestore di concederci un angolo per le tende.

Veniamo accontentati, con uso bagno e cucina, a fronte di una spesa ridicola.

E’ una pacchia! Brindiamo poi con birra Chopcho e cibarie indecenti acquistate nel market a fianco.

Seduti al tavolino del cortile discutiamo se raggiungere o meno le Meteore (Grecia) perché, fatti un pò i conti, dovremmo impiegare almeno due giorni in più del previsto.

Renato, per tutto il viaggio silenzioso (di carattere), sbotta inaspettatamente facendoci sobbalzare dallo stupore. Evidentemente le Meteore sono un suo ambito traguardo ma lo sono anche per me, sebbene in tempi remoti le avessi già raggiunte pedalando, e comunque voglio far partecipi i miei compagni di queste meraviglie.

Arriviamo alla sensata decisione di arrivare direttamente a Ioannina, che comunque era di strada, prenderci una giornata di stop e guadagnare le Meteore con un mezzo pubblico; questo ci permetterebbe di restare nei tempi calcolati dato che le prime tappe albanesi si sono allungate oltremodo.

Rientriamo in Albania dalla parte sud del lago, dopo averne percorso il periplo, un po amareggiati e nello stesso tempo alleggeriti da un impegno che difficilmente avremmo potuto gestire.

Con questo umore dimentico anche di cercare quei monasteri ortodossi che erano la mia principale curiosità in merito a questo lago, soprattutto quel monastero visto nelle scene del film “Prima della pioggia”.

Comprendo anche in questa circostanza che nei viaggi sono tante le situazioni interessanti vissute ma sono molte anche le occasioni perse e che ci si lascia dietro sempre qualcosa ripromettendosi di tornare a cercarla.

Il lago è azzurro, bello, limpido, la via è tranquilla e rientra mesta in terra albanese.

La sponda albanese brulica di gente vivace, in spiaggia e nelle vie.

Ci concediamo un pranzo a base di pizza e nel frattempo incrociamo una coppia di giovani cicloviaggiatori belgi che sono in giro per il mondo da mesi; curioso contrasto del loro tempo a disposizione rispetto al nostro. Usciamo da Pogradec sapendo bene che ci aspetta una statale piatta e noiosa ma la meta è Korca. Nella tratta in nave all’andata, il mio maturo fascino latino (con manifesta sindrome di Peter Pan) aveva attirato l’interesse di una bruna albanese. Dalle chiacchiere intercorse ottengo l’indirizzo del suo B&B in Korca, cittadina che avevo visto nella mappa e che in caso di “via di fuga” restava proprio sul nostro itinerario. I calcoli sono presto fatti. Korca è la destinazione di questa tappa che nella sua seconda metà risulterà la meno interessante di tutto il viaggio.

Entrare in una periferia cittadina non è mai un bel vedere; solitamente mette un po di inquietudine il fatto trovare un luogo poco accogliente. Per fortuna certi sentori sono spesso contraddetti dalla realtà.

Korca è una gran bella cittadina, il riferimento ovviamente è al centro storico: la cattedrale, la via principale, la nuova piazza con la moderna torre panoramica, le casupole tutte intorno che hanno quel “sapore” misto fra il turco e il balcanico, i selciati… e poi la gente che passeggia, le attività commerciali illuminate sul far della sera.

Troviamo il B&B: Anina e il marito Pandush ci accolgono mettendoci veramente a nostro agio; ci viene riservato un appartamento in quella che è una villetta italiana dei primi del 900, ben inserita nel quartiere dietro la cattedrale.

La terrazza, spettacolare per il giardino pensile e per il panorama, diviene una distesa caotica delle nostre cose ora lavate.

Korca è anche sede della fabbrica dell’omonima birra famosa in tutta l’Albania e la sede poco distante accoglie un giardino-ristorante dal quale non possiamo esimerci. La serata trascorre serafica fra le immancabili cazzate sparate a profusione. I commenti si sprecano sui piatti ordinati di cui Vanni chiede informazioni alle persone dei tavoli vicini, in una babele di inglese, gesti ed italiche esacrazioni. Epilogo ideale di una giornata pedalata senza troppe pretese. Al mattino, dopo una colazione da manuale, riprendiamo la via che stavolta esce dall’idea iniziale (raggiungere direttamente le Meteore) e cala invece a sud tagliando perpendicolare questa fetta di Albania fino al confine greco. Poche indicazioni chieste per uscire da Korca, i cartelli stradali sono esaustivi, la direzione letta nella mappa è inequivocabile… sempre diritto!

La strada è semideserta e il fondo è buono. All’inizio è piana e quasi noiosa, apparentemente destabilizzante. Dopo forse una quindicina di km l’altimetria comincia ad animarsi. Renato pedala come un treno nemmeno sotto sforzo, Francesco corre avanti per effettuare qualche ripresa video, io e Vanni arranchiamo con pedalata agile ma tutti insieme caliamo la successiva lunga discesa a tornanti.

Così iniziano una serie di piccoli valichi che discendo in valli una più bella dell’altra.

Molti campi coltivati, altrettanto dismessi; pare queste zone siano state un tempo vaste colture di mele.

A metà giornata in un paesino bruttino, del quale non mi importa ricordare il nome, ci fermiamo per mettere qualcosa sotto i denti intrattenendoci in chiacchiere con un losco personaggio locale che aveva lavorato in Italia. Le informazioni sulle condizioni delle genti albanesi, sul lavoro, sul governo attuale ecc. sono interessanti ma piuttosto discordanti, non ci permettono di fare un quadro chiaro della situazione: il motivo di fondo però resta una mancata evoluzione economica.

Questa è una bella tappa, dopo quelle avventurose montane; sarà anche la più lunga.

Ogni valico è diverso dal precedente, comunque belli nonostante le difficoltà che ora affrontiamo con curiosità e buona gamba.

Anche qui ogni valle è sorprendentemente diversa da quella lasciata.

Ciò che ci circonda allevia le fatiche di quella che pare sia l’ultima rampa in questa terra. Un mandria di cavalli tranquilli pascola nel verde sotto di noi; dopo la curva ci attende la discesa verso Leskovik, ultimo avamposto albanese. Le indicazioni per il confine anticipano un’altra discesa di circa 10 km, larga, velocissima… praticamente deserta; l’impressione è che sia stata stesa prevedendo chissà quale traffico di veicoli. In uno sparo siamo al fiume che segna il confine politico con la Grecia. Tardo pomeriggio e la frontiera è semideserta. Con la percettibile sensazione di aver lasciato alle spalle la parte più interessante della nostra avventura entriamo in territorio ellenico; la prima cittadina, Konitza, è a pochi km, circa 20.

Le ombre lunghe si proiettano sull’asfalto… al momento sembra un’inezia percorrere quella distanza ma siamo stanchi dei cento appena terminati e l’idea di essere ormai giunti a fine giornata ci ha reso una rilassatezza… fatale.   E’ un supplizio.

Konitza appare lassù sulla collina.

Io spero che la soluzione per la notte sia nei pressi della strada principale che corre sotto la cittadina ma Vanni ha la giusta premonizione che dovremo ancora arrampicarci per i tornanti fino ad alcuni cipressi presi a riferimento.

All’accensione delle prime luci artificiali arriviamo al centro del paese e chiediamo a destra e a sinistra dove trovare un qualsiasi alloggio. Un signore, dopo aver confabulato con dei perditempo seduti nella piazzetta, ci indica di seguirlo: lui in auto noi in bici. Ci accompagna ad un albergo poco sotto e ci accorgiamo presto che le loro attenzioni sono state davvero premurose dato che l’hotel è qualche riga sopra le nostre aspettative… però data l’ora e la stanchezza che non ci pensiamo certo due volte. Dopo la doccia, in tutta fretta risaliamo a piedi qualche centinaio di metri per sederci finalmente in un ristoro a gustare prelibatezze locali. E’ quasi strana la relazione per, cui varcato il confine in territori piuttosto simili, diversamente dall’Albania, qui è subito molto più caldo e non ci sono fontane lungo le strade. So bene che oramai , a parte le asperità e i relativi km, non ci sono novità “antropologiche” nella bazzicata Grecia come invece ci aspettavamo per la “misteriosa” Albania;

con questo mesto presupposto piloto i miei compagni alla volta di Ioannina.

Immagino già l’arrivo al lago e pregusto un bagno, lo stesso che non abbiamo potuto fare a Ohrid.

Anche Renato, Vanni e Francesco credo condividano la stessa idea.

La strada non è interessante, si alterna in lunghe salite e lunghe discese, per fortuna il traffico non è pesante e l’unica attenzione è coprire la distanza e nulla più.

Vanni riesce finalmente a trovare il Calippo.

Solito ingresso di periferia.

Grandi camion allertano maggiori prudenze mentre entriamo nella città il cui mio ricordo è decisamente più romantico di ciò che vedo ora.

Dopo un plus di giri, nei quali pensavo di orientarmi prontamente, raggiungiamo il campeggio sul lago: una grande piazza verde, concreta nella sua spartanità, decisamente spoglia in servizi e attrattive.

Qualche angolo è occupato dai mezzi più disparati: camper da deserto, appartamenti semoventi, un’auto fuoristrada plurisponsorizzata con occupanti che si muovono, nell’area, con l’overboard (patetici!), coppie in tenda con cucina da campo ma senza accendino… e poi ci siamo noi con le nostre tendine, sbragati, chiassosi (escluso Renato), orgogliosi dei nostri mezzi minimali.

Le acque del lago non sono proprio invitanti, e aggiornati al riguardo, scopriamo con delusione che tutta la zona abitata scarica qui da tempi remoti … praticamente una grande fogna. Il colore non lascia dubbi.

Finalmente facciamo un giorno di sosta,; girovaghiamo per il bel centro dalle molte architetture tipicamente “balcanorientali” dato il sultanato turco terminato a metà del 19imo secolo.

Diamo un’occhiata agli orari delle corriere per raggiungere le Meteore: risultati poco pratici.

Optiamo così per un’auto a nolo.

Da Ioannina alle Meteore sono poco più di un centinaio di km.

Ricordo che con la bici, nel 93 insieme a Barbara, percorremmo una via che transitava fra passi e valli , fra cui il Katara Pass sopra Metsovo.

Così animato da limpidi ricordi dirigo sulla vecchia strada Vanni, che è al volante.

La direzione è ben chiara ma, fossimo stati in bici, credo sarebbe stata una ulteriore notevole fatica, ben oltre ciò che ricordavo… e subito mi assalgono i sensi di colpa per quel lontano 93… ma eravamo giovani!

Le Meteore, che tradotto suona come “monasteri nell’aria”, è uno dei siti religiosi e storici fra i più singolari e interessanti dell’Europa.

Le particolari asperità rocciose, arrotondate e erose dal tempo, attorno al medioevo, divennero occasionali rifugi per eremiti religiosi.

In seguito la “popolazione” di religiosi aumentò e furono edificate le prime strutture permanenti, raggiungibili solamente attraverso gru e reti calate dall’alto.

Nemmeno i successivi attacchi delle orde islamiche riuscirono ad espugnare questi insediamenti monastici cristiani.

Dei ventiquattro antichi eremi edificati allora con enormi sacrifici in cima alle falesie di arenaria, attualmente solo sei sono ancora attivi e aperti alle visite.

Ma le curiosità sulle Meteore le rimando ad una ricerca specifica.

Ovviamente il sito è frequentatissimo.

Riusciamo a visitare internamente solo qualche monastero.

Tutt’intorno il panorama però non ha eguali.

Al ritorno però prendiamo l’autostrada (che nel 93 non c’era).

Resta solo una tappa per raggiungere Igoumenitsa e l’imbarco per Ancona.

Siamo consci che buona parte delle curiosità e degli stimoli siano esauriti e questo provoca un tenue rammarico, è il sentore di una vacanza che volge al termine.

Gestiamo al meglio queste sensazioni nella cenetta a base di Moussaka, Suovlaki e Greek Salad, Birra Alpha e Retzina.

Tagliamo il nastro della ultima tappa sedendoci ai tavoli di un forno/bar adocchiato il giorno prima e ci saturiamo di una buona colazione… poi direzione mare, seguendo la vecchia via, ora secondaria ad una più diretta, veloce e quasi piana.

Anche qui quasi 100 km fatti immancabilmente di lunghe salite e altrettanto lunghe discese… e ancora molto caldo.

Di tanto in tanto attraversiamo vivaci abitati che diventano sempre l’occasione per una sosta ed una bevuta. Singolare una lunga cancellata realizzata con biciclette gialle di tutte le misure; simpatico elogio al ciclo pur non avendo visto l’ombra di un ciclista su queste strade.

All’apice di una ennesima salita, presso una casupola e sotto l’ombra di una vigna pensile, io e Vanni ci dividiamo un Ouzo fresco, mentre Francesco e Renato ingurgitano succhi di frutta e acqua. Sarà stata la stanchezza, il caldo o chissà cosa, che quel poco di alcool mi stordisce al punto che percorro la discesa successiva con più curve di quelle che ha realmente. Per fortuna non c’è traffico e la morbida sensazione termina in fretta.

Ora attendiamo solo di vedere la linea azzurra all’orizzonte come lo striscione del traguardo… ma , come ci è capitato stranamente altre volte in viaggio, quella linea si è sempre rivelata solo all’ultimo chilometro.

Scendiamo dalla collina direttamente sul lungomare individuando a vista il porto e l’imbarco.

Decidiamo di salire sul traghetto il giorno seguente e così prenderci una giornata di sosta a coronamento definitivo del nostro giro.

Su questo punto siamo tutti d’accordo, dobbiamo trovare ora dove passare la notte.

Io propongo il campeggio ma forse è più saggio terminare in una stanza, per pulirsi di tutte le fatiche e concedersi una cortesia di fine viaggio.

C’è un hotel proprio di fronte a dove ci siamo fermati. Chiediamo la disponiblità e il prezzo; ci sta bene. Accidenti! Sarà che ci sono dei lavori di ristrutturazione, sicuramente necessari, ma la parte ospitante è veramente fra le più brutte e meno accoglienti di quelle incontrate (esclusa la capanna dei pastori albanesi)… però ci si adatta. In compenso possiamo sistemare le bici all’interno e al sicuro. La scelta della stanza, anziché il campeggio, risulta più che mai azzeccata perché nel giro di 20 minuti si rovescia un forte temporale. Ora siamo quattro turisti “qualsiasi” a ciondoloni per le vie, con le ciabatte, le braghe corte, le mani in tasca, in attesa dell’orario di cena. Buttiamo l’occhio anche alla riva, cercando un angolo per la mattina successiva, dove stendersi al sole e fare un bagno finalmente!

Al solito, finiamo la serata a tavola.

Con l’asciugamano sulla spalla andiamo sulla riva; non è proprio una bella spiaggia… è più una zona prospiciente al lungomare, non distante dal porto.

Le belle spiagge sono altrove, un poco fuori città ma nessuno di noi ha ora voglia di riprendere la bici e fare qualche km ancora.

Così lasciamo passare questa lunga giornata in attesa dell’imbarco nel tardo pomeriggio.

Naturalmente il porto è un caos; lunghe file di auto, diversi ingressi per varie destinazioni… è facile trovare l’ingresso degli automezzi, dal quale veniamo respinti, e quello dei pedoni ma non si comprende dove si deve passare con le bici. Poi ci si mette scomodamente in fila con i pedoni e si passa.

La nave è enorme.

Cerchiamo di trovare, a bordo , un posticino dove passare tranquilli la notte.

Alla fine è sul ponte, sugli sdrai attorno a quella specie di piscina.

La traversata non sembra così lunga come invece è veramente…

Forse più lunga sembra l’odissea, in suolo italico, di saltare da un treno all’altro per arrivare praticamente a casa.

Fino a Rimini siamo ancora tutti assieme, poi Renato e Francesco devono continuare fino a Bologna per poi dividersi alla volta di differenti mete in Padania.

Io e Vanni riusciamo a prendere il treno fino a Gatteo Mare, cosa mai avvenuta nei giri precedenti che ci induceva a percorrere pedalando anche i familiari 20 km di lungomare romagnolo fino a casa mia e all’auto di Vanni… cosa che comunque ha un altro sapore, gustato fino all’utimo metro.

Arrivare a casa non è propriamente un festa per noi che vorremmo restare in viaggio ancora… lo è nel complesso in cui ci si stringe attorno alle persone che ci hanno atteso.

A ruote ferme… non resta che abbandonarsi alla voglia di raccontare e carpire l’attenzione altrui continuando a vivere virtualmente questo viaggio.

                                                                                                 FINE

 

Testo farneticato e battuto da Marco Zoffoli

in supervisione da Vanni Petrillo, Francesco Zanella, Renato Radici, Gianni Casadio

 

ah, ecco.. ecco.. un attimo! Ecco... ecco... ci siamo...

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