CON LE ALI AI PIEDI
Preambolo
E’ ancora la guida scritta da Angela Maria Seracchioli a ispirare il cammino: si tratta della continuazione del cammino di Francesco, intitolata “Con le ali ai piedi”, per i tipi di Terre di Mezzo.
La prima idea era di continuarlo in solitaria, a riempire di timbri la mia credenziale.
Poi le calate in Italia, ormai piuttosto regolari, dell’amico tedesco, con annessi giri in bicicletta di un certo impegno, mi hanno indotto all’invito: e se quest’estate facessimo un giro insieme? Dalla Germania l’amico accetta entusiasta.
A metà luglio mi informa via mail di avere acquistato la guida. Ha anche iniziato a leggerla – osserva con la consueta arguzia –
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E conclude:
Ogni trasmissione sportiva mi insegna che la mente è importante, e anche coloro che hanno problemi con le frasi della loro lingua madre parlano costantemente di cose mentali.
Per lui potrebbero però esserci “problemi di hardware”: quale bici usare? La vecchia bdc in acciaio che gli presto quando facciamo i nostri giretti lo spaventa:
– Quelli della Cavazzoni non sono freni, sono soltanto deceleratori.
Gli è perfino venuta l’idea di ordinare una bici online, farsela spedire in Italia e tenerla qua per giri, giretti e cicloviaggi. Non mi sembra un’idea furbissima: partire per un cicloviaggio impegnativo su una bici mai provata prima. Meglio fidarsi della vecchia Atala con i suoi bravi v-brake, che frenano benissimo. Alla peggio, chiederemo in prestito a mio figlio la sua nuova Specialized Sequoia, una bomba da cicloviaggio con freni a disco idraulici e ruotone corazzate.
Ma la vecchia Atala reagisce bene e convince; inoltre, si presta meglio ad essere sballottata su e giù per i treni. Appena Guido arriva a Reggio, selezioniamo il bagaglio decisamente ridondante che si è portato appresso e ci prepariamo a partire.
mercoledì 8 agosto: Terni – Poggio Bustone, km 44.
Per tre quarti la giornata è dedicata ai trasferimenti sui treni regionali: partenza da Reggio Emilia alle 7 del mattino, cambio con sosta di due ore a Falconara Marittima, arrivo a Terni previsto per le 16.24. Il cambio a Falconara è decisamente vantaggioso: treno modernissimo, silenzioso e con aria condizionata funzionante: siamo gli unici ciclisti e possiamo occupare i posti dedicati senza smontare le borse.
Arriviamo a Terni sotto un cielo or piovorno ora acceso, ma appena usciti dalla stazione nettamente piovorno… L’uscita dalla città, orrenda col brutto tempo, è complicata dall’avere io scaricato sul Garmin le tracce automatiche create dal sito Naviki, che si diverte a creare il percorso più tortuoso possibile. Guido, animale razionale, si regola guardando il sole, quando c’è, e i cartelli stradali; alla peggio tira fuori la cartina di carta e cerca di orientarsi così, perché la carta non si scarica mai. Ma di fronte al sacro furore tecnologico di cui sembro infiammato si arrende e mi segue, lasciandosi sfuggire una risatina.
Fatto sta che dopo un’ora ci troviamo ad una rotonda dove un cartello indica: TERNI 6. Ripongo il Garmin nel borsello, tenendolo però acceso: lì resterà per tuttta la vacanza, a registrare passivamente la traccia che stiamo percorrendo.
Usciti finalmente dal dedalo di vie che vorrebbe ancora risucchiarci in città, prendiamo per Marmore. Riconosco i luoghi dove sono passato l’anno scorso, soprattutto il bar-negozio di Papigno dove mangiai un panino con una fantastica porchetta. Ritrovo il bar, compro di nuovo pane e porchetta per la cena di stasera: il convento di Poggio Bustone offre soltanto il pernottamento.
Appena ripartiti, Guido si ritrova con la ruota posteriore a terra (la più scomoda, ovviamente). Siamo in salita, non ci sono spiazzi; dobbiamo fermarci a bordo strada, sul bagnato, per le operazioni necessarie: smontare le borse, capovolgere la bici, …
Fortunatamente ha smesso di piovere. In pochi minuti la camera d’aria è sostituita: una gonfiata e via! Inizio a gonfiare, ma la valvola sembra bloccata; faccio forza, la valvola cede. Cede proprio, nel senso che si è rotta, e di conseguenza la camera è da buttare. Pace, ne abbiamo un’altra. Vado a gonfiare l’altra e mi accorgo che la defunta valvola, prima di spirare, ha fatto in tempo ad uccidere la pompa, che è praticamente implosa: anzichè insufflare aria, la aspira…
La scena ha dell’incredibile: fermi per una foratura. Se avrò il coraggio di raccontare una cosa simile nel diario, diventerò lo zimbello del Cicloviaggiatore: l’uomo che brillava le valvole!
Guido non si perde d’animo: tu raggiungi in bici il prossimo paese, a cercare una pompa o una camera d’aria, o entrambe, io mi incammino a piedi. La razionalità teutonica mi ha sempre commosso. Vado. Solo un paio di chilometri e mi trovo in centro a Marmore, mi metto alla questua e dopo una decina di richieste ottengo una pompa in prestito. Appena sistemata la ruota, con tempismo perfetto, ecco spuntare Guido.
Avvisiamo i frati del convento di Poggio Bustone che arriveremo tardi: mancano ancora 25 chilometri e la foresteria chiude tra mezz’ora. Al telefono annuncio un ottimistico arrivo entro un’ora e mezza, senza tener conto del percorso non propriamente pianeggiante. La toponomastica inganna: insiste con il prefisso “Piè di-“: Piediluco, Piedicolle,… ma la strada non si accontenta di lambire i paesi ai piedi, vuole scavalcare il luco e il colle…
Il sole è tramontato da mo’, quando iniziamo a passo d’uomo gli ultimi 4 chilometri fino al convento. Arriviamo alle nove passate: il frate che ci sta aspettando è più in vena di seccatura che di perfetta letizia. D’altronde, vive con due soli confratelli, uno molto anziano e uno molto malato, e tocca fare tutto a lui; tutta estate apri e chiudi il cancello… Lascia intendere che ospita volentieri i pellegrini ma detesta i turisti. Affretto la presentazione:
– Siamo PELLEGRINI in bicicletta nei luoghi di San Francesco e dell’Arcangelo Michele.
– Ho capito: state facendo il cammino di Mercurio.
– Mercurio?! Veramente è quello scritto dalla Seracchioli, intitolato “Con le ali ai piedi”.
– Appunto. Le ali ai piedi le ha Mercurio, non l’Arcangelo Michele!…
Sotto l’ala di Mercurio, protettore dei mercanti e dei ladri, entriamo a consumare la nostra porchetta, annaffiata da una mezza bottiglia di un anonimo e ruvidissimo vino rosso che il frate burlone e astemio è riuscito a trovarci. Sono passate le 23 quando ci stendiamo sul nostro saccolenzuolo nella camerata che condividiamo con pellegrini veri, a piedi.
giovedì 9 agosto: Poggio Bustone – Casale Calabrese, km 76.
Visitia veloce al santuario. Il chiostro.
Lasciamo 20 euro di offerta nell’apposita cassetta e ripartiamo.
Finchè segue a ruota, Guido sorride; non sa ancora quale tortura l’aspetta quando mi si mette davanti. Ho sempre avuto il vizio di cantare o canticchiare a voce alta; lo faccio in continuazione, anche a scuola. Una volta fui richiamato dal preside come disturbatore della quiete pubblica: cantavo madrigali nei corridoi, incurante del fatto che molte classi facessero lezione a porta spalancata. Ora ho imparato a controllare il volume, almeno nei luoghi pubblici; ma quando sono in bicicletta, specialmente in discesa, mollo i freni.
Sarà il povero Guido a farne le spese. Il problema è che non canto una canzone intera, accenno soltanto un motivetto, sempre lo stesso, e sono capace di andare avanti così per ore. I tedeschi lo chiamano Ohrwurm, verme dell’orecchio. Uno dei più infestanti vermi della vacanza sarà la canzone napoletana I’ te vurria vasa’: è perfetta come verme, perché conosco solo la prima frase e non so come continua:
Cullati dalla fresca brezza ribadita a martello dal mio canto spiegato, arriviamo nel pittoresco borgo di Cittaducale, sormontato dall’imperiosa Torre Angioina, che domina la Val Velina.
Il borgo, tagliato da un’unica strada principale, ha un’ampia piazza in declivio.
A mezzo tra romanico e gotico, la cattedrale di Santa Maria del Popolo, con l’imponente facciata:
Lasciamo Cittaducale, e con lei la Valle Reatina, per inoltrarci nella verdissima Valle del Salto.
Se non fosse per l’inveterato verme, la tappa regalerebbe uno splendido scenario montano. Stiamo salendo verso l’Altopiano di Castiglione e ci fermeremo appena varcato il confine con l’Abruzzo in uno sperduto casale dell’800, il Rifugio Casale Calabrese (perchè “Calabrese”? mi sono dimenticato di chiederlo…).
Lo gestiscono Avio, la moglie Gabriella e il cognato Maurizio, collaboratore factotum. Ottima e abbondante cena casareccia, lubrificata da una bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo.
venerdì 10 agosto: Casale Calabrese – Celano, km 101.
Il sole si è alzato prima di noi, sarà meglio darsi una mossa…
Con una bella dormita sono guarito dall’Ohrwurm. Attraversiamo l’Altopiano di Castiglione, avvolto da un sublime silenzio.
Incontriamo soltanto mandrie paciose di vacche al pascolo.
Passo La Forca, 1358 m slm.
La discesa è divertentissima: il fondo è ben tenuto, non ci sono tornanti, il Cancellone sfreccia ai 70 all’ora (che nel racconto in famiglia dovranno scendere a 50). Mentre aspetto la discesa giudiziosa di Guido, mi prendo il tempo per fotografare il paesaggio…
… e il siluro della Turingia!
… con il verme recidivo:
Arriviamo a L’Aquila, la “Signora ferita”. Era il 2009. Il reticolo delle gru sopra i cantieri avverte che la convalescenza sarà ancora lunga.
Il tempo di assaggiare un torroncino nella pasticceria Nurzia, e ripartiamo.
Dovremo salire fino al passo di Rocca di Cambio, oltre i 1300 m slm. Il tratto per uscire da L’Aquila non è esaltante; per giunta, Guido fora una seconda volta. Questa volta però siamo attrezzati e in pochi minuti risolviamo.
Cominciando a salire, la strada si fa tranquilla e si immerge nel verde, fino al passo.
Per raggiungere Celano evitando la strada principale è indicata sulla destra una pista ciclabile, che subito si annuncia pedalabile…
ma successivamente “sdiventa” ciclabile, ingoiata dalla vegetazione.
Abbiamo inventato appositamente il verbo “entwerden” = “sdiventare” …
Giungiamo in vista del castello di Celano, che domina la piana del Fucino, dove dobbiamo scendere per trovare il nostro alloggio: B&b Il miele e le stelle, gestito da una coppia matura di apicultori, Vittoriano e Adelina, che hanno aperto la loro casa all’ospitalità di pellegrini.
Vittoriano ci racconta la storia delle sue terre e alcuni particolari della sua attività di apicultore.
La piana del Fucino è terra di proverbiali patate, “Kartoffeln”, rivolto al tedesco: mica quelle slavate dei crucchi, queste sono patate vere, da farci gli gnocchi!
In origine la piana era un grande lago, il terzo d’Italia per estensione: già i Romani tentarono di prosciugarlo, ma l’opera definitiva fu realizzata soltanto nell’Ottocento dal duca Torlonia. Ne risultò una lottizzazione dei terreni, che portò dal latifondo alla piccola proprietà: un progresso agricolo unico in tutto il Mezzogiorno.
Le colonie di api abitano sulle colline alle pendici del Morrone; qui a casa sono tenute solo poche arnie come ricambi d’emergenza, quando per un motivo o per l’altro occorre ripopolare le colonie.
Per cena siamo serviti egregiamente di pasta e verdure dell’orto, agnello arrosto e una buona bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo. Biancheria da bagno e da letto. Un trattamento da signori che ci riserviamo per aver toccato quota 100.
sabato 11 agosto: Celano – Sulmona, km 63.
Vittoriano ci ha indicato una strada che sale verso l’altopiano del Baullo.
Ci ha dato come punto di riferimento un fontanile, da cui si diramano diversi sentieri in opposte direzioni.
– Quando siete al fontanile, se avete dubbi chiamatemi.
Prima di disturbarlo, guardiamo in giro se passa qualcuno. Neanche un’anima.
A destra! Salendo sull’altopiano incontriamo soltanto mandrie al pascolo, completamente incustodite.
Sul brecciolino, in salita, per tenere l’equilibrio mi aiuta l’esperienza di mountain biker.
Dal passo, i campi arati nella valle Subequana hanno strani colori.
Scendiamo a Gagliano Aterno. Domina il paese un castello signorile con un loggiato che guarda la valle.
Un anziano signore, molto distinto, si fa avanti: inizia a raccontarci la storia del borgo, del castello, e soprattutto della fontana trecentesca, imperdibile, con tanto di iscrizione originaria.
Legge e traduce l’iscrizione a lato della fontana, che una certa contessa fece scolpire nel 1344 a perenne memoria della propria generosità.
Dice di essere originario di qui, di possedere un po’ di terra fuori paese, dove da anni ritorna ormai soltanto in vacanza, per incontrare gli altri otto fratelli, tutti proprietari e coltivatori di un lotto di terreno. Lui però non ha l’aria di un coltivatore diretto e da come parla si capisce che ha studiato. Infatti, confessa di essere un professore universitario di storia dell’arte, in pensione.
A Castelvecchio Subequo visitiamo la chiesa di San Francesco, non tanto per i preziosi arredi quattrocenteschi, ma per il reliquiario che conserverebbe una goccia del sangue di San Francesco.
Da fedele, ho sempre avuto un rapporto di imbarazzo, misto a disgusto, nei confronti delle reliquie. Guido, da infedele, è curioso e scettico.
– Gli hanno fatto un prelievo mentre dormiva?
Non ho argomenti per ribattere alla ragionevolezza del buonsenso. Guido mi cita Baudolino di Umberto Eco, dove la domanda sulla veridicità della reliquia viene ribaltata nella conclusione: è la fede che fa vera la reliquia, non il contrario. L’accettiamo come conclusione provvisoria.
Proseguendo verso la valle Peligna, lasciamo la Majella alle nostre spalle, mentre rimane in vista il monte Morrone, figlio del Gran Sasso e della Majella, dicono gli abruzzesi.
Scendiamo rapidamente a Raiano, per vedere a tutti i costi il particolarissimo ex convento, oggi sede municipale. Sembra il set di un western di Sergio Leone…
Da Raiano cerchiamo l’eremo di San Venanzio, a strapiombo sull’Aterno, immerso nel verde, mèta di pellegrinaggi e di mondani pic-nic.
Un’antica tradizione devozionale riconosce in alcuni segni impressi nelle rocce dei sotterranei della chiesa l’impronta del corpo di Venanzio, giovanissimo martire del III secolo. Fin qui ci siamo. Poi notiamo, sulla sinistra, una superficie scura e lucida, evidentemente lisciata da continui sfregamenti: si tratta del “letto di san Venanzio”, a cui sono attribuiti poteri terapeutici, come attesta un pannello intitolato “La litoterapia” (?!)
Per finire, la Scala santa, un cunicolo molto stretto che sale e sbuca nel mezzo della chiesa davanti all’altare, promettendo agli scalatori effetti balsamici.
Ora non resta che riprendere il cammino, direzione Sulmona. Arriviamo nel primo pomeriggio, intenzionati a fermarci qui, sia perchè la cittadina merita una visita accurata, sia perchè abbiamo in ballo una questione materiale e una spirituale: la bici di Guido ha il copertone posteriore deformato, che deve essere sostituito; io vorrei cercare una Messa prefestiva
Sulmona ha l’aria di una cittadina vivace, con una vita serale piuttosto animata: le vie del centro si riempiono di persone, di tanti bambini, di gruppi di giovani, mentre gli anziani sostano ai bar. Si incontrano gelaterie ad ogni angolo, negozi che sembrano di fiori e sono di confetti, manifesti che annunciano eventi musicali.
Ceniamo e dormiamo nell’albergo Il Celestino, vicinissimo alla cattedrale, senza infamia e senza lode.
domenica 12 agosto: Sulmona – Ateleta, km 84.
Oggi entreremo nel Parco nazionale della Majella, ma per un errore di tragitto perderemo la visita del pittoresco borgo di Pescocostanzo. Ci accorgiamo dell’errore.
Guido vorrebbe seguire la guida…
Invece proseguiamo e ci ritroviamo a Pacentro.
Salendo verso il passo S. Leonardo il paesaggio si fa quasi alpino.
Prima del passo, svoltiamo a destra per raggiungere Campo di Giove, località turistica con impianti sciistici e chalet in puro stile tirolese. Non mi piace, in Abruzzo preferisco l’Abruzzo. Attraversiamo l’Altopiano delle Cinque miglia per portarci a Roccaraso, altra chiassosa località turistica; d’altronde, oggi è domenica, antivigilia di Ferragosto. Durante l’ultima guerra la linea difensiva tedesca Gustav passava di qui, e come se il nome contenesse un destino, il paese fu raso al suolo dalle bombe degli Alleati.
Ora, per sconfinare in Molise e raggiungere Ateleta, dove abbiamo deciso di pernottare, mancherebbero solo 14 chilometri di una tranquilla stradina provinciale che piega verso est. Invece, innervositi dal fatto che piova e spiova senza poter fare previsioni neanche a brevissimo tempo, puntiamo a sud sulla trafficata statale 17 che ci fa scendere a Castel di Sangro, senza farci mancare un paio di gallerie buie.
Prendiamo atto della cavolata, e ci rimettiamo su un’altra statale, fortunatamente meno trafficata, in direzione nord. Finalmente, con un raddoppio di chilometri, arriviamo ad Ateleta, accolti dalla signora Cenzina.
– Cenzina?!
– Sì. Mia nonna si chiamava Vincenzina. I miei volevano un nome più corto…
– Ah.
Abbiamo a disposizione una casa intera, visto che siamo gli unici ospiti; Cenzina ci cucina una cena rustica e abbondante, preparata per le 19, un orario da pellegrini (o da tedeschi).
lunedì 13 agosto: Ateleta – Ortona, km 100.
Siamo appena entrati nel verde Molise, pronti a sperimentare un antico tratturo della transumanza, l’erbal fiume silente di dannunziana memoria, quando la voce di Penelepe, apparsa non in sogno ma sulla chat di whatsapp, richiama Ulisse in patria:
– Quando torni, Cipi?
E così, anzichè seguire la guida in direzione sud verso i paradisi della transumanza, viro bruscamente a nord-est in direzione mare.
Guido acconsente: bello, tutto molto bello, ma ora mi sento erschöpft, ausgepumpt, fix und fertig, e via snocciolando l’intera gamma sinonimica dell’aggettivo “stanco”.
Prima di Castel del giudice incrociamo la statale 652, quasi completamente vuota, e decidiamo di percorrerla. La strada corre regolare in leggera discesa, con ponti e viadotti lunghissimi: sono chilometri divertenti, ma la pacchia finirà molto presto, visto che a breve sono previste lunghe gallerie. Usciamo dalla statale e prendiamo vie secondarie, dalle quali possiamo ammirare paesini e borghi aggrappati alle dorsali rocciose: Villa Santa Maria, Pietraferrazzana, Colledimezzo…
L’unico che degniamo di una visita, per motivi logistici (acqua e cibo) è Bomba, con vista sull’omonimo lago. Nella piazza centrale campeggia il monumento a Silvio Spaventa, che con lo sguardo truce mantiene la promessa del cognome…
Ripartiamo. Un ultimo saluto alla Majella, che tante emozioni ci ha regalato.
Ormai sento aria di mare, di treno, di casa.
Improvvisamente, o voce di colui che primamente / conosce il tremolar della marina!
Si corre verso il mare, che raggiungiamo in località Fossacesia Marina. Ora dobbiamo costeggiare il mare per una ventina di chilometri; il nostro treno parte ora da Termoli, abbiamo un’ora e mezza per acciuffarlo ad Ortona. Ma i chilometri costieri sono uno strazio di continui saliscendi, per giunta con traffico di auto e di moto assai poco rispettose dei mezzi minori.
Pedalando alacremente raggiungiamo la stazione di Ortona con largo anticipo. La stazione, posta a ridosso del porto, è completamente disabitata; polverosa e fatiscente, ha qualcosa di spettrale. Se fossi da solo avrei paura, anche in pieno giorno.
Ma c’è Guido, e mi faccio una risata.
L’amico sorride, soddisfatto dell’italienische Reise…
…io di aver arricchito la carta del pellegrino.
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