ISTRIA

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Eccomi di nuovo. Stavolta non sono solo, come abituato da sempre. Il Capogita è niente meno che l’Ammiraglio Aldus Tortaldus che ha decretato che si va in tenda (che magò!). Il percorso va da Trieste a Pola, prima attraverso la vecchia ferrovia Parenzana e poi lungo la costa adriatica (intesa in senso stretto), fino a Pola e poi forse a Fiume e …. poi boh!

Il percorso è molto breve e quindi le sciocchezze scritte, per nascondere il viaggio pedalato, devono per forza aumentare.

La tenda, il sacco a pelo, il materassino e tutto il resto… Dove li metto? Posso attaccare tutto al manubrio della Fargo, ma, da bickepacker pentito, la dovrò trasformare. Che le gomme siano comunque larghe per non affogare nel breccione della ferrovia, poi aggiungo due parafanghi posticci di plastica nera, le luci Supernova e l’orrendo e pesantissimo portapacchi posteriore di ferro nero Salsa.

“E sì, le gorpi del Minnesota hanno pensato bene che ci si possa montare solo quello!”

L’ibrido risultato secondo me non è male ma la cosa di cui vado più fiero è la bottiglia per l’acqua, da 1,5 litri, sul tubo obliquo, di un bel colore blu molto vicino a quello della bici. Eccola, assieme alla Discovery dell’Ammiraglio appoggiata al rettorato dell’Università di Capodistria!

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La Fargo e la Discovery dell’Ammiraglio a Capodistria

 

 

1 da Muggia a Buje km 65,92

 

Il percorso inizia, come dice l’Ammiraglio,

“sotto un cielo plumbeo”,

arriva subito il confine ormai non più confine, anche se qualche nostalgico malpensante della attuale gerarchia vorrebbe ritornare ai tempi di quando “c’era lui” e ai tempi di Buchenwald. Il magone è subito superato dal contingente. Si sbaglia strada, come sempre! Invece di prendere la stradina di destra continuiamo per la statale, ora ci tocca districarci tra raccordi autostradali, ferrovie, cavalcavia e sottopassaggi fino ad una ciclabile urbana che ci porta a Capodistria.

La graziosissima città di pietra bianca, è più gentile di quello che mi aspettavo. Le bandiere italiane sono alla pari di quelle slovene in tutti gli edifici pubblici. La ciclabile per Izola è poi una cosa mai vista, fondo perfetto, tre corsie: una per le bici una per i pedoni e una per i pattinatori e poi fontanelle d’acqua in lucente acciaio inossidabile e bagni con docce e l’Adrio Mar lì sulla destra.

“E che posto è?”

Poco dopo a Strugniano un’ impasse ci ferma a decidere se fare subito una salita da impiccati su per la strada trafficatissima o fare una stradina solitaria in riva al mare ma poi piena di tornanti. Tira e molla, guarda tutte le carte di carta e quelle sul furbotelefono, alla fine, poi salta fuori “semplicemente alla vista del cartello” una pista ciclabile con un numero abbastanza improbabile: la 931601 per Portorose. La stessa poi si rivela come tratto della Parenzana con tanto di galleria sotto il picco inaccessibile, splendidamente illuminata tanto da far esclamare l’Ammiraglio nella sua ormai lingua teutonica:

“Ach so. Wie schön!”

A Portorose, uguale a tutte le Rimini del Vasto Mondo, seguiamo malamente i cartelli della ciclabile fino al mio dubbioso grido:

“Ma Aldo, me sa che il percorso passa dentro il campeggio…”

E l’Ammiraglio secco e deciso:

“No, no! Se va su per la salita!”

Il mozzo si adegua prestamente anche se avrebbe preferito il percorso in piano, che le salite non gli sono mai piaciute. Poi la salita è inaspettatamente godibile in un verde parco con interessanti sculture piantate nell’erba. Alla cima del colle un cicloviaggiatore del Nordeuropa mi dice, o almeno capisco, che il percorso della Parenzana non è quello, ma:

“On the sea coast.”

E infatti il nostro percorso si riempie di alti gradini e scale in discesa in un lussureggiante giardino dai forti verdi con degli sprazzi di “blu piscina” fino a guadagnare la costa del mare. Ora bisogna circumnavigare le saline della foce della Dragogna fino alla base delle colline dove è posto il confine tra Slovenia e Croazia ancora presidiato dai gendarmi.

Mi suona strano. L’ex impenetrabile cortina di ferro di prima non se la caga più nessuno mentre dove prima, di qua e di là era un unico stato, ora ci sono soldati con divise diverse a scrutare attentamente la mia carta di identità.

Prima di passare il limes e sottoporci alla prova ci concediamo la nostra razione quotidiana di ćevapčići e di musica balcanica al chioschetto “Palma di Sicciole-Sečovlje”

“Che si vada incontro allo sconosciuto cimento almeno con la panza piena!”

La Croazia cura meno della Slovenia le piste ciclabili, il fondo di breccia della Parenzana fa un lungo giro in salita, prima verso ovest per poi ritornare ad est, ma dalle parti di Plovania ci stufa e prendiamo la strada asfaltata che le passa parallela, proviamo ancora una volta con la pista ciclabile ma “non è cosa!”. Fino al paese sarà solo asfalto. Buje mi sorprende per due cose. È buia come dice il nome, non più pietra chiara dell’Istria ma intonaci scuri e conci marrone. Ha poi una italianità diffusa e per nulla sopita. Alla Ostarija Francovic, dove ci riempiamo esageratamente di buon cibo, parlano quasi tutti un dialetto veneto, dal cameriere capo, alla rumorosa comitiva di mamme, babbi, alunne e maestre della scuola elementare italiana che festeggiano la fine dell’anno scolastico.

Chiediamo la cosa e loro rispondono:

“Noi non abbiamo mai smesso di parlare l’italiano e il nostro dialetto di sempre, e poi ormai siamo tutti nella stessa grande e bella Comunità Europea.

Io sono contento e penso tra me:

“Parole sante! Magari tutti!”

Il cameriere capo ci offre un passito e continua:

“E poi, non hanno mai cambiato nemmeno il nome alle vie, abbiamo ancora Giuseppe Garibaldi e Alessandro Manzoni e sull’edificio su in piazza, quello della mia vecchia scuola, c’è ancora scritto

SCUOLA ELEMENTARE E MEDIA

E poi non so se l’avete notato, ma io ve lo dico lo stesso. Nemmeno a piazza San Marco a Venezia ci sono tre leoni come nella nostra piazza.”

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Buje

 

 

2 da Buje a Novigrad km 61,09

 

La ciclabile della Parenzana parte subito troppo sfigata, almeno per me: terra e fango e troppa erba che dà fastidio. Ormai lo sanno tutti, sono palloso. Incontriamo tanti ciclisti, tutti con la MTB e tutti senza bagagli e alcuni, secondo me troppi, ci guardano con commiserazione. Dalla vecchia stazione di Grisignana deviamo per il borgo pedonale che, raccolto a cerchio attorno uno sperone collinare, appare splendidamente confezionato con le strade acciottolate, le case dai conci di pietra a vista di un caldo calcare color pastello, con le porte e le finestre di un indovinato azzurrino e piante rampicanti messe al posto giusto, ma con troppe gallerie d’arte e troppi negozi di ciarpame vario e con troppa gente in giro.

“Quando mi passerà l’idea di essere l’unico ad avere la patente di Viaggiatore di tutto il Vasto Mondo?”

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Grisignana

Oltre Grisignana la ferrovia Parenzana si interna verso ovest a raggiungere paesini nascosti tra le pieghe dell’Istria. Il paesaggio è veramente interessante con fitti boschi e aperti sprazzi sulle colline che a sud digradano verso la sottostante valle del fiume Quieto. Passiamo una serie di viadotti e gallerie e il fondo ora è quello della vecchia massicciata del treno asburgico e se non vi fidate di me, che sono palloso, posso citare le parole dell’Ammiraglio scolpite dentro la sua GoPro:

“Il tratto che stiamo percorrendo adesso è molto accidentato, a causa del fondo stradale che è ricoperto di pietrisco…”

Scendiamo a Livade e ci fermiamo sotto il fresco pergolato della Conoba Dorjana. Alla fine del pranzo, complici anche due Velika piva a testa, decidiamo di non salire per la Parenzana a Montona ma di abbandonare la ciclabile per raggiungere il mare con la strada di fondo valle.

“E chi avemo mazzato?

E po’ c’avemo un’età media de più de settant’anni!”

Raggiunta la costa a Novigrad, percorsa la strada sopra l’esile istmo tra due tratti di mare, un cartello stradale ci ammonisce che per raggiungere il campeggio Lanterna bisogna salire un’erta collina e poi tornare indietro verso destra. È solo un malevolo cartello per automobilisti e non ci frega, prendiamo la stradina della costa verso destra che diventa di terra e piena di grandi pozzanghere, ma ci permette di entrare nel campeggio dal pertugio pedonale di servizio. Oltre il recinto, piazzole di erba direttamente sul mare con tanto di barbecue e macchinine elettriche che girano come insetti con i lavoranti del campeggio sopra, e camper grossi come case e vere casette di vetro e acciaio. La reception non si trova ma troviamo il trenino interno, la farmacia, i negozi, i ristoranti e piscine e le spiagge private. Il campeggio risulta di una superficie uguale a quella della provincia di Fermo, ha dei servizi a livello di un albergo a cinque stelle e ci fanno pagare un prezzo paragonabile a quello dell’Hotel Westin dentro l’Elbphilharmonie di Amburgo o al Grand Hotel Pupp di Karlovy Vary. E poi a noi tendaioli ci mandano in un posto in culo ai lupi, vicino al recinto e alla strada esterna, da soli come gatti appestati, e la mattina dopo ci prendiamo pure un rimbrotto dalla guardia alle sbarre perché, in attesa di disbrigare le complicate burocrazie per l’uscita, avevamo messo le bici nel parcheggio del check-in e non nel parcheggio del check-out.

3 da Novigrad a Rovigno km 41,65 in bici (+ barca tra Orsera e Rovigno)

Si scappa dal “Campo” e si sale fino al paese di Vabriga, si scende quindi di nuovo al mare, giriamo attorno ad una insenatura su una bella pista di terra dentro un ombroso bosco. Si va alla grande tra sole e ombra e proprio lì a destra quasi sotto le ruote delle bici il blu cristallino che il nostro Adriatico nemmeno si sogna. Ma, come sempre, l’idillio finisce, arriva il villaggio turistico e il porto con le barche dei turisti, il percorso diventa urbano e poi sempre più complesso. Non è sempre possibile costeggiare la riva, ma noi siamo “de coccio”, lavoriamo di cesello, giriamo attorno a case, campeggi, parcheggi e promontori. Si va molto lenti, ma non abbiamo fretta e vogliamo stare vicino a quel’Adrio Mar.

Parenzo, la grande, splendida città, già infervorata nei suoi tumulti estivi, ci accoglie non proprio come se fossimo viaggiatori medievali alla porte di Samarcanda o Bukara o alla corte del “Gran Cane” ma:

“È così che va il mondo adesso!”

A Orsera, per superare il profondo fiordo di Lemme bisogna risalire di almeno venti chilometri verso oriente e poi ritornare sulla la costa. Ma ormai la nostra serietà da cicloviaggiatori veri si è irrimediabilmente deteriorata e quindi di comune e grande accordo scendiamo al porto a cercare un passaggio in barca fino dall’altra parte. La cosa si rivela più facile e meno dispendiosa del previsto, troviamo subito un passaggio addirittura fino a Rovigno.

L’unico pedaggio da pagare all’estetica è quello che condividiamo il passaggio con un gruppo di europei del nord che devono raggiungere un camping FKK (Freikörperkultur), avendo i nostri compagni di viaggio più o meno la mia età.

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In attesa della partenza della barca per Rovigno

 

 

4 da Rovigno a Pola km 50,85

 

Poco a sud della città si palesa il problema di ieri, il percorso finisce dentro un campeggio, seguiamo le indicazioni della guardia alle sbarre per Pola, ma lui ce le dà “da automobilista” e in tante lingue meno che quella corrente nella “Media Marca”. Poco più in giù siamo di nuovo affogati dentro l’orrendo e polveroso breccione di calcare bianco. È pieno di cartelli di piste ciclabili. Decine di cartelli con numeri diversi per decine di piste ciclabili diverse che si intersecano, salgono su colline e scendono da colline e si avviluppano su loro stesse in inutili percorsi da MTB. Superiamo la palude, il sito è reclamizzato come rifugio di volatili selvatici, ma per me è finito un’altra volta il posto dove poter infilare la ruota davanti della Fargo.

La nostra idea di costeggiare il mare, in senso stretto, diventa decisamente impraticabile. A questo punto avremmo dovuto prender su le bici e passare a salti sopra una irta scogliera. La nostra conoscenza del litorale istriano non è sufficiente. Nessuno di noi ha servito nel genio militare della Serenissima Repubblica de Venegia né tanto meno in quello Imperiale Austriaco e io personalmente non sono avvezzo alle diavolerie di oggi a cercar satelliti, a scovare mappe nella “rete”, a seguir pedestremente le tracce già pensate nel passato su schermi microscopici, bui e malamente colorati.

Convinco l’Ammiraglio ad abbandonare la tenzone e di scappare sopra il liscio nastro d’asfalto che scorre vitale e veloce la ad est, da qualche parte. Finalmente in buonissima compagnia di auto, camion e motociclette e anche in leggera discesa ed in favoloso favore di vento doppiamo la città di Dignano e, sempre in vista dell’Adrio Mar (che non si senta abbandonato!) e delle isole Brijoni, giungiamo di gran carriera al centro di Pola ancora in tempo per un altro grazioso pranzo all’aperto.

Il gatto fa il tenerone, con gli occhioni grandi, miagola e si struscia alle zampe della sedia, vuole un po’ dei miei ćevapčići. Ma la sua azione anche se continuata non ha affatto successo. Vince solo una brutta foto con il furbotelefono.

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5 da Pola a Premantura e ritorno km 56,67

 

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Il campo della penisola di Stoja a Pola

 

 

6 da Pola a Muggia km 26,56 in bici (+ treno tra Pola e Kozina)

 

“Finalmente il treno! E che treno!”

La ferrovia è la Istrische Staatsbahn costruita al tempo dell’impero asburgico e, a quanto pare dal primo impatto con la stazione e i binari, rimasta tal quale dal 1876. Va da Pola a Divaccia dove si innesta nella linea Trieste-Lubiana, aveva un tempo anche delle diramazioni per Rovigno e per le miniere di carbone di Arsia-Raša. La stazione è giustamente mitteleuropea come gli antichi infissi in legno e gli ottoni e le vetrate. Ma… Ci fanno il biglietto fino a Cozina, per noi e per le biciclette, con un computer touch screen.

“Non è che le ferrovie croate mi fanno lo scherzo? Voglio la originale ferrovia asburgica!”

I dubbi vengono subito soffiati via dal brontolio e dai tremori di una piccola motrice a gasolio più vecchia di me, che arriva da nord. Non entra in stazione, si ferma, il macchinista scende e aziona lo scambio, poi risale, riparte e si piazza al binario 2. È il nostro treno per Buzet-Pinguente.

“Che figata!”

Poi oltre il confine ci sarà un altro treno. Sloveno.

Si parte in leggera salita per l’interno dell’Istria, il macchinista tira le marce in una campagna assolata e sola. Le stazioni, lontane dai centri abitati, se ci sono, sono tutte uguali a conci di calcare grigio chiaro. Spesso c’è solo il nome della fermata piantato in un palo poco più in là della massicciata ferroviaria. Le fermate sono fitte come i passeri sul filo.

Noi passeggeri siamo invece quattro gatti: un ferroviere molto grosso occupa tutto il sedile davanti al mio, Aldo dorme dall’altra parte, anche se lui dice di no, il capotreno mi controlla i biglietti per la seconda volta e li firma con la penna blu.

“É un caldo gatto!”

Apro un poco il finestrino in testa al vagone, ma il ferroviere molto grosso lo richiude subito. É meglio che stia muto e fermo, che già le biciclette davanti alla porta fanno abbastanza casino da sole. Il caldo e il rollio del vagone mi intontiscono abbastanza tanto da trasportarmi in una torrida corriera di decine di anni prima che attraversa la foresta centroamericana piena di cacche di gallina, sfuggenti fronti maya e fetidi piedi maya. Per fortuna a Kanfanaro sale la ragazzona tirata e profumata con seni marmorei e la maglietta corta che le lascia scoperta la pancia. Poi lei scende a Lupoglav-Lupogliano e prenderà l’autobus per Rijeka-Fiume. Ancora sono lì a gingillarmi se è più figo il nome latino o slavo di quel posto di una strana montagna dall’aura già siberiana e solo stancamente mediterranea.

“E poi dicono che l’oriente selvaggio non comincia più da Trieste!”

Il percorso si fa duro, il treno arranca a fatica per la salita, il motore geme fino a che si ferma, il macchinista viene da noi e controlla delle perdite di acqua sul tetto e riparte.

“Questo viaggio è sempre più interessante!”

Superiamo il passo che a piedi si va più veloci e poi giù in discesa per il polie Rocho. In teoria dovremmo essere quasi arrivati ma il paese di Buzet-Pinguente lo vedo ancora laggiù in basso e lontano sopra un colle poco affilato. Il treno si ferma quasi nel nulla, accosta ad un’altra motrice sull’altro binario.

Scendo, appoggio la bici a terra sulla massicciata tra i due treni e chiedo in italiano.

“È quello il treno per Divaccia?”

Mi rispondono in inglese:

“No per Divaccia c’è il minivan.”

Indicando oltre i due piccoli fabbricati della stazione. Passiamo di là dove ci attende un furgone Renault per sei passeggeri con già dentro seduta, impettita e inamovibile un’anziana coppia di viaggiatori sloveni.

“Signori del Nord!”

L’equipaggio del minivan, sorpreso, ci osserva attento mentre spingiamo le bici cariche verso di loro. Il ragazzo con la camicia a righe riamane muto ma l’autista con la camicia bianca fuori dai calzoni e dalla pancia un tantino debordante fa risuonare forte e chiara una bestemmia in italiano, e aggiunge:

“No! No! Le biciclette non ci stanno!”

E poi conclude ferale:

“A Trieste ci dovrete andare pedalando”

Lì per lì non sembra una tragedia, ma a pensarci bene sono una barca di chilometri e anche in salita. Inizia un tira e molla e alla fine si convincono. Smontando le ruote delle bici e alcune parti del Renault riusciamo a partire per Kozina, il percorso è abbastanza elaborati, prima si scende per ripide stradine e poi si risale per altrettanto ripide stradine, passiamo un ridicolo confine tra Croazia e Slovenia sopra prati indifferenti e tra mucche indifferenti al contrario dei medievali gendarmi che scrutano attentamente i nostri documenti e le nostre facce. Ci scaricano alla stazione di Kozina che è solo a quattro chilometri dal confine di Pesek, arriva presto la bandiera della Repubblica Italiana. Attraverso lento il limes. Sopra gli abbandonati edifici della polizia forse mi sembra di vedere la fronte sudata e il faccione con la barba del nostro, odierno, ministro di tutto. Non c’è che scendere, giù, fino in fondo al golfo di Trieste.

 

Levitate a tutto lo Vasto Mondo

Dalla Media Marca 11 giugno 2019

 

COMMENTI

 

Andrea Agostini
Scritto il 28 Ottobre 2019
Grazie cara Larissa. Il mozzo è mozzo e sta nella tenda piccola, l’Ammiraglio nella cabina grande, come deve essere! Magari convinco l’Ammiraglio a portare il video della sua GoPro. A presto a Reggio Emilia.

 

Andrea Agostini
Scritto il 28 Ottobre 2019
Ciao Tommaso, ben ritrovato a te! Credo di poter confessare che il “furore comprativo” è solo per far polvere e mascherare il mio poco viaggiare. Per il poco da leggere nel sito, ho giusto degli arretrati…

 

Larissa
Scritto il 28 Ottobre 2019
Siete semplicemente Straordinari! Una curiosità chi alloggiava nella tendina rossa? Quest’anno mi piacerebbe vedere al raduno di Reggio Emilia la presentazione di questo viaggio… Un abbraccio grande all’Ammiraglio e al suo fedel Mozzo.

 

tommaso
Scritto il 27 Ottobre 2019
“Dice che i marchigiani è tirchi…”, ma a me pare che ad ogni viaggio hai una bici diversa. Ben ritrovato, grazie al cielo il forum ha riaperto, ma purtroppo c’è ancora poco da leggere. Un saluto

 

Andrea Agostini
Scritto il 24 Ottobre 2019
Grazie Paolo. I meriti per il percorso e per lo spirito del viaggio sono tutti dell’Ammiraglio Aldus Tortaldus. Io da “mozzo” ho solo seguito e tenuto memoria dei fatti. Credo che tutto l’equipaggio sarà presente al raduno di Reggio Emilia. A presto

 

Paolo
Scritto il 24 Ottobre 2019
Grande Andrea, che spirito! Percorso a dir poco originale e coraggioso, con la tenda poi! Mi fai venir voglia di riprendere la tenda anch’io… Il diario è godibilissimo, come al solito, anche un po’ scanzonato. Ci vedremo al raduno a Reggio?

 

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