NEI DESERTI DEL NORD DI ARGENTINA E CILE

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NEI DESERTI DEL NORD DI ARGENTINA E CILE

 

PRIMO GIORNO – Domenica 17 novembre 2013 – Siamo in viaggio!

Sì, nonostante qualche dettaglio che mi ha messo alla prova. Baci, abbracci, autostrada fino a Bergamo. Con Attilio smontiamo la bici e la imballiamo in un batter d’occhio. Mi confronto sui pesi: ho troppe cose! La cernita iniziale non ha prodotto il risultato sperato, ho un bagaglio di 32 kg esclusa la bici e l’acqua che dovrò aggiungere per le tappe senza riferimenti, almeno ho già due kg di viveri…

A Malpensa troviamo una manifestazione contro la vivisezione davanti all’ingresso per le Partenze. Giovani scandiscono slogan contro la compagnia KLM, ritenuta complice dei fatti in quanto trasporta le cavie. In aeroporto dobbiamo aprire una delle scatole delle bici per eccesso di peso, ma tutto si aggiusta con un po’ di attesa e del nastro adesivo preso in prestito.

Si parte per Madrid arrivando addirittura in anticipo, volo tranquillo ed atterraggio sul bagnato e l’aereo un po’ slitta.

 

SECONDO GIORNO – Lunedì 18 novembre 2013 – Da un aereo all’altro

Il volo per Buenos Aires presenta un ritardo di quasi un’ora, preferiamo attendere nella penombra di un posto di ristoro chiuso, dobbiamo iniziare ad abituarci alla solitudine e alla meditazione.

Partiamo dopo l’una e ceniamo quasi alle tre di notte. Il viaggio è un po’ pesante per via del poco spazio tra i sedili per reclinarsi. Sbircio qualche film dormendo a tratti.

Ho una certa ansia per l’ignoto che ci aspetta e i molti interrogativi. La stanchezza del tour de force dei preparativi mi fa mettere in dubbio la mia reale condizione fisica e il mio allenamento, oltre al timore per qualche acciacco alla gamba destra.

L’atterraggio a Buenos Aires è puntuale, ma alla dogana abbiamo fatto più di un’ora di coda, mi hanno fotografato e anche preso le impronte digitali e pensare che da noi sull’argomento ci si fa tanti problemi…

Prendiamo un taxi dall’aeroporto internazionale di Ezeiza al nazionale Jorge Newbery, panino e ultimo volo per Salta. Appena decollati si vede il fiume più largo al mondo: il Rio de la Plata e poi per un bel po’ osserviamo l’interminabile serpente del suo affluente, il Rio Paranà, che raggiunge in Brasile quasi i 5.000 km.

Il mio amico d’infanzia Daniel mi aspettava con Luisa mia cugina seguendo il furgone che ci porta al Hostal Andino dove alloggeremo io e Attilio.

Ho la netta sensazione di essere “dalle mie parti”. Salta mi ricorda molto La Rioja, dov’è nata mia madre, la gente è colorata nei loro abiti, nella loro pelle e nelle loro costruzioni, si avverte che lo standard igienico è molto diverso dal nostro.

Vivo un forte sentimento di identificazione con la gente e con il territorio, mi sento “a casa mia” e per questo so già che da alcuni non verrò capito, ma cosa posso farci?

Poi si va insieme a cena ma mangio ‘poco’, perché ho fastidio allo stomaco, è solo tensione. Mangio pollo e patate e bevo qualche goccio di buona birra. I miei occhi guardano ovunque un po’ increduli, sono dall’altra parte del mondo e fra poco inizierò a pedalare per il viaggio ciclistico della vita. Beh, ultimamente ogni volta dico così e finisce che non mi fermo lì…

 

TERZO GIORNO – Martedì 19 novembre 2013 – Salta la linda

Mi son dato degli obiettivi di meditazione, non proprio uno schema, una traccia di temi di fondo.

Saper ascoltare è molto più importante che saper parlare: è questo ciò che vorrei imparare oggi!

Giriamo osservando i palazzi coloniali che dominano il centro.

La città è coloratissima, caotica, amabile e dai cibi deliziosi, ma ho ancora mal di stomaco..!

La mattina si riarmano le bici e si va a fare un piccolo test in strada, saranno le nostre più fedeli compagne di viaggio e meritano la massima attenzione e cura. In centro cerchiamo un fornelletto da campeggio, ma il commerciante ci scoraggia chiedendoci l’equivalente di oltre 100 €, dopo avere verificato la richiesta, usciamo dal negozio un po’ “delusi”…

Il primo pomeriggio, pranziamo e passeggiamo con Dany e Luisa.

Poi facciamo visita al castello e la camera dove loro stanno alloggiando, è bellissimo ed è in mezzo al bosco.

La giornata è stranamente umida e piovosa, sembra quasi di essere nel nostro autunno, invece siamo in piena primavera, anche qui si avverte chiaramente il cambio climatico…

 

QUARTO GIORNO – Mercoledì 20 novembre 2013 – Verso Jujuy, tutti i colori del mondo

Siamo partiti, stavolta pedalando! Che meraviglia, è una splendida giornata!

Una volta fatti gli acquisti in panificio, usciamo da Salta passando dal centro e dal commerciante ladro, poi, imbocchiamo un pezzo della ciclabile a fianco della tangenziale, per sbucare nella Ruta 9 che costeggia il fiume Rio Grande.

Arriviamo a prendere la strada de la Cornisa, un serpente a strapiombo in mezzo alla selva subtropicale in un continuo saliscendi.

Poi superiamo le due dighe di Las Maderas e La Cienaga con i loro laghi di un celeste suggestivo. Per schivare un temporale sulle colline, cambiamo strada saltando San Antonio del Carmen, ma questo ci permette di conoscere una coppia di francesi con bici reclinate, che pedalano da un anno con partenza dagli Stati Uniti – “roba da farci nascondere”, commento; ma questi pedalano solo su asfalto e sarebbero già morti sulle strade che ci aspettano, replica invece Attilio-.

Arrivati a Jujuy ceniamo con Dany e Lu che ci hanno raggiunto presso la Madre Tierra. Sì, il posto bio che volevo trovare era proprio lì, dietro all’ostello dove abbiamo dormito: la Casa de Barro, un bijou con dipinti preistorici riportati sui muri!

 

QUINTO GIORNO – Giovedì 21 novembre 2013 – Verso Purmamarca, “Arriverete di sicuro, con l’aiuto di Dio”

Colazione sempre a Madre Tierra e si riparte, all’uscita di Jujuy domando indicazioni della strada ad un poliziotto di guardia che mi chiede dove siamo diretti. Dopo avergli fatto una sintesi del nostro percorso, gli faccio capire che non sono certo di riuscire a compiere tutto questo tragitto ed arrivare indenne a destinazione. Mi risponde con un sorriso incoraggiante dicendo: “arriverete, con l’aiuto di Dio”.

Riprendiamo la famosa ruta 9 che ci porta sempre più su, puntiamo ai 2.250 m. di Purmamarca, un villaggio di popoli originari tra le montagne, ma ormai centro del turismo. Superiamo altri villaggi di indios come Volcàn. Il paesaggio formato dalla vallata del Rio Grande si fa sempre più vasto attorno a noi, ma non manca una bottega dove fare rifornimento per prendere fiato e qualche chiesa moderna…

Dai cartelli si nota una sensibilità politica alla tutela del paesaggio, ma nelle piazze mancano i cestini.

Fa caldo e il sole picchia molto forte, non ho avuto l’accortezza di darmi un po’ di crema e sono bello scottato.

Tumbaya dà tristezza da tanto che sembra povera ed abbandonata, perciò la lasciamo subito dopo qualche scatto. Ripresa la strada, ci sarebbe da fermarsi a fare foto ogni cento metri, perché cambiando angolazione, il paesaggio si modifica ai nostri occhi. Si vede subito che la macchina fotografica non sarà in grado di cogliere altro che una parte molto parziale della tavolozza di colori e l’immensa bellezza che si presenta alla nostra vista. Dopo variazioni continue del paesaggio, l’arrivo a Purmamarca è abbastanza in salita ed iniziamo ad assaggiare quello che vuol dire “vento” da queste parti…

 

SESTO GIORNO – Venerdì 22 novembre 2013 – “Signore, le do il benvenuto nel mio paese”

Prima di partire mi alzo all’alba e da solo percorro in bici il Paseo de los Colorados, uno spettacolo dai toni rossicci che toglie il fiato in ogni senso e che gusto in contemplazione facendo qualche foto.

Inizio a pormi le domande che mi accompagneranno durante la giornata:

Cosa faccio qui? Cos’è la vita? Esiste un’intelligenza superiore? C’è un artefice di tanta bellezza oltre a queste pietre o tutto è un caso?

Perché esistiamo? Le risposte per la mia vita ovviamente le ho, ma cerco una specie di conferma…

Dopo i preparativi di routine, lasciamo Purmamarca e partiamo convinti e consapevoli di dover raggiungere i 3.000 m. di altitudine di Humahuaca.

Oltre a curiose formazioni di pietre, ogni tanto incrociamo la vecchia ferrovia che una volta permetteva di partire da Buenos Aires e raggiungere in treno il profondo nord fino a La Quiaca, al confine con la Bolivia: queste rotaie saranno un contatto ricorrente.

Più tardi giungiamo a Maimarà con i suoi murales di popoli originari e curiose pubblicità elettorali scritte direttamente sui muri. Un simpatico anziano ci avvicina e ci stupisce con il suo benvenuto “De donde vienen Señor?” (da dove venite?) les doy la bienvenida a mi pueblo (vi do il benvenuto nel nostro paese). Ed io che pensavo volesse chiederci dei soldi…

Approfitto della farmacia e compro una crema da sole, sono ustionato!

In alto, uscendo osserviamo i resti dell’antica cittadina dei popoli originari.

Poi arriviamo a Tilcara… (purtroppo dopo Coca Cola visto l’enorme cartello pubblicitario…), è molto bella, colorata e vitale, ricca di tonalità e pittoresca… Un gruppo di scolari suonano e cantano in piazza e fanno una lotteria per raccogliere fondi per la loro scuola.

La musica, gli strumenti a fiato e i testi mi richiamano il fatto che mia madre discende da qui e non posso fare a meno di provare una forte emozione.

Dopo altre decine di km e curiosi scenari superiamo il tropico di Capricorno, una linea inventata dall’uomo per suddividere la terra, affascinante quanto la nostra stessa immaginazione.

Lungo il percorso un gruppo di bambini di un villaggio si avvicina alla strada e ci salutano festosamente, “adonde van?”, mi chiedono, verso l’Atacama rispondo!

All’arrivo ad Humahuaca una scritta ci fa presente che i popoli originari sono tuttora oppressi nella propria terra. Sono abbastanza stanco ma non sfinito, in fondo siamo appena a 3.000 m. Infatti questa sarà solo la base di partenza dell’altitudine che dovremo affrontare, da domani si sale davvero sempre più in alto.

Il paese è caratterizzato da notevoli contrasti, ci sono camion e auto che hanno cinquant’anni, insieme ai moderni SUV dei nuovi ricchi del turismo. Faccio qualche scatto alle case perché si vedano le differenze con le nostre e il conseguente diverso stile di vita.

Stasera ho rivisitato la distribuzione del bagaglio, ho un peso esagerato, soprattutto pensando ai quasi 1.000 km di fuoristrada che ci attendono. La salita costante e la mancanza di ossigeno, che già si avverte, mi fa percepire che sarà durissima, ma grazie a Dio al momento sto molto bene!

Ci riposiamo nel magnifico ostello La Soñada colorato di rosa.

 

SETTIMO GIORNO – sabato 23 novembre 2013 – Le Sierras del Hornacal mai raggiunte

Il mattino ci alziamo con l’intenzione di continuare il nostro percorso verso Abra Pampa, ma saputo della bellezza di un gruppo di monti nelle vicinanze, decidiamo di salire a Cianzo per vederli.

A metà percorso, un pazzo in Suv ci sfiora a tutta velocità facendoci anche dei gestacci, mentre solitamente i contadini che passano con delle vecchie auto ci salutano amabilmente, c’è di tutto a questo mondo! Dopo essere saliti di altri 700 m. pedalando per tre ore sotto il sole cocente e su ripio – un impasto di terra e ghiaia -, ad un tratto dobbiamo scappare prima di essere investiti da una tormenta della quale ci limitiamo ad assaggiare il vento ed alcuni goccioloni di ghiaccio. La discesa veloce in fuga è micidiale per il ripio ondulato che fracassa i polsi, ma la scampiamo appena in tempo….

Nonostante non siamo riusciti ad arrivare a la Sierras del Hornacal, siamo soddisfatti del tentativo e dell’esperienza, che ci permette di non lasciarci ingannare dal fatto di essere su un altopiano: qui i fenomeni meteo sono quelli tipici della vera altitudine. Una volta scesi, alle tre di pomeriggio, si mangia l’asado, grigliata di carne ai ferri e ci si gusta la piazza, il resto è riposo. Mi dedico finalmente a fare qualche video ed imparare ad usare il GPS…

La sera tentiamo di comunicare in un internet point ma è impossibile: la connessione ADSL suddivisa tra 10 computer tutti occupati, non ce la fa a farci caricare skype, certo, era molto a buon mercato.

La cena è al ristorante Ser Andino, dove con pochi euro mangiamo piatti tipici insieme a dei curiosi spaghetti alla bolognese.

 

OTTAVO GIORNO – Domenica 24 novembre 2013 – Verso Abra Pampa, la Siberia argentina

Partiamo come al solito dopo avere fatto abbondante scorta al mercato d’acqua e cibo per la giornata. La strada inizia subito con un salitone che porta all’imbocco con la ruta 9 e il sole già picchia senza pietà. Saranno 90 km e quasi 1000 metri di dislivello che ci faranno gustare una sequenza impressionante di paesaggi mozzafiato, spazi immensi e colori contrastati e luccicanti.

Abbiamo il secondo incontro con un cicloviaggiatore. Il magrissimo Martìn ci racconta dei suoi sette mesi in bici tra Brasile, Bolivia, Paraguay e Argentina, mentre ci parla gli offro una banana che divora in un secondo.

Successivamente superiamo un piccolo monumento funerario e la deviazione che porta ad Iruya, una meta speciale che avremmo voluto raggiungere per il suo fascino ma che rimandiamo per mancanza di tempo.

Nelle ore più calde, troviamo riparo all’ingresso di una cappella posta al lato della strada, dove riposiamo e mangiamo. Ripreso il cammino continuiamo a contemplare le bellezze sorprendenti tracciate dal Rio Grande parallelo al percorso. È evidente come ormai a oltre 200 km da Salta le zone siano sempre più desertiche e riprendo a interrogarmi.

È possibile vivere e uscire da un sistema di vita distruttivo e contro natura che condizionerà la vita dei nostri figli e delle generazioni future? E se sì, come fare? …

Arriviamo ai Tres Cruces, un incrocio di tre strade che porta alla grande miniera del Aguilar. Il nord argentino-cileno è ricco di miniere che estraggono ad esempio il rame che poi corre sui fili delle nostre case. Osservo con curiosità una madonna stilizzata fatta di metallo intenta ad allattare.

Nubi sembrano presagire pioggia, ma Abra Pampa, la cosiddetta Siberia argentina, ci appare davanti al tramonto, anche questa volta ce l’abbiamo fatta.

NONO GIORNO – Lunedì 25 novembre 2013 – Fine dell’asfalto e strada verso Casabindo

Ogni mattina ci alziamo coscienti di dover percorrere una nuova strada, a noi completamente sconosciuta, che con un po’ di fortuna, verso sera ci condurrà ad un nuovo luogo dove rifugiarci.

Sappiamo solo della distanza e dell’altitudine da superare, ma tutto il resto è ignoto.

Siamo fiduciosi che le forze non ci mancheranno e sapremo resistere fino alla prossima tappa.

Colazione e si esce, mentre attendo Attilio che fa spesa, guardo dei bambini che a loro volta attendono le loro mamme, improvvisando una partitella a calcio spingendo una grande bottiglia di plastica, si vede che si divertono molto con poco….

Sappiamo che da oggi finisce l’asfalto per almeno 150 km e ci attende tanto ripio e arenilla, ovvero sabbie mobili e terreno seghettato sul quale impari ad andare o sei per terra. Infatti faccio subito una leggera scivolata. Troviamo caldo e ancora salita, ormai siamo pienamente nella zona desertica. Dobbiamo arrivare almeno a Casabindo, se vogliamo trovare un rifugio per la notte. Il primo tratto è un rettilineo di oltre 30 km percorso alla velocità media di 11 km/ora. Passiamo davanti ad una delle basi dell’INTA, stazione sperimentale dell’agricoltura. Il ripio non perdona, non puoi togliere lo sguardo un attimo dalla strada, così che un occhio è in basso mentre l’altro scruta la natura circostante: suri, lama, asini selvaggi che vediamo solitamente nei documentari, questa volta sono lì in carne ed ossa. È fatica…

Dopo avere superato qualche km di infernale sabbia finissima sulla strada, alle due di pomeriggio troviamo un albero davanti a una casa dei popoli originari e ci fermiamo a riposare, mentre due cani ci abbaiano abbastanza minacciosi. Poi esce il loro padrone con il quale facciamo una chiacchierata. Ci racconta che fa il pastore e vive con la sua famiglia. L’autobus passa due volte a settimana, così va in paese a fare spesa quando serve, oppure aspetta un camioncino che vende prodotti ai pochi contadini che abitano lungo il cammino. Sappiamo che nell’entroterra ci sono persone dei popoli originari che vivono come una volta, isolati e difficili da raggiungere. La tentazione di andare a trovarli è grande, ma potremo essere rifiutati e con giusta ragione: rappresentiamo la colonizzazione.

Riprendiamo la strada, più volte mi fermo, l’assenza del vento che fino ad ora ci aveva sempre accompagnato, ci immerge in un silenzio surreale che interroga l’anima…

Viviamo in un società che impone la logica che possiamo essere solo se facciamo qualcosa e lo facciamo vedere agli altri. Sto percependo invece che ogni essere o creatura vivente o apparentemente non vivente come le rocce, hanno una ragione di essere in sé stesse e perciò non hanno bisogno d’altro. È possibile scoprire una dimensione della vita contemplativa che riveda il valore di ogni altra vita recuperando la nostra dimensione umana originaria?

Nel frattempo devo stare attento a governare il fardello di quasi 40 kg che mi porto dietro e che sbilancia la mia traiettoria, è il bagaglio per un mese, ma ho già scoperto che ci sono cose che non mi servono ed altre che mi avrebbero fatto comodo ma che non ho…. Viviamo dietro a 10.000 oggetti sparsi per casa per pulirli, aggiustarli, riempire i mobili: quanto spreco del quale devo imparare a liberami! Quello che oggi mi serve per vivere sta nello spazio delle borse che porto.

Dopo gli ultimi km di strada sabbiosa e insidiosa, nel pomeriggio inoltrato arriviamo a Casabindo, il paese sembra quasi deserto nonostante il colorato cartello di benvenuto.

Arrivati alla scuola alcuni alunni si accorgono dalla finestra del nostro arrivo e ci vengono incontro, facendoci tante domande…

Chiediamo in giro in cerca di alloggio e qualche posto dove mangiare, così sperimentiamo l’essenzialità totale, dormendo in una ‘stanza’ dai semplici arredi preparata appositamente per noi e mangiamo nella mensa di un’altra scuola, che offre un pasto a vari ragazzi che si raggruppano attorno la sera. Non manca una buona minestra calda, poi una milanese con verdura fresca, acqua e qualche dolce per meno di 2 euro! Il nostro cameriere è uno studente molto curioso e ad ogni giro approfitta per farci domande sul nostro viaggio. Nella piccola bottega di alimentari acquistiamo qualche cracker sciolto, bibite zuccherate in mancanza di acqua minerale e carne in scatola, prendiamo acqua dal rubinetto con una preoccupazione che si rivelerà inutile! La nostra cultura basata sulla paura di germi e batteri e sulla sfiducia ci ha insegnato a sospettare di tutto e tutti…

Questo paese è famoso per la sua festa alla Vergine unica al mondo che prevede una corrida ma senza l’uccisione del toro, con processione e festa alla quale partecipano migliaia di persone provenienti anche da molto lontano.

All’imbrunire osserviamo come nel contrasto di un temporale, sui monti di fronte si manifesta tutto il mistero delle forze immani che governano il pianeta. E noi lì, come minuscoli granelli di sabbia ad osservare…

DECIMO GIORNO – Martedì 26 novembre 2013 – Verso Susques per Las Barrancas

Il mattino, il sig. Vasquez del quale siamo ospiti, ci mostra come fa a fare i mattoni, sta lentamente costruendo un rifugio per turisti.

Questa tappa rimarrà per me come il giorno più lungo, con i luoghi più selvaggi e una delle più stravolgenti per la fatica da affrontare.

Partiamo con davanti 60 km di ripio prima di ritrovare l’asfalto e poi salita fino a 3.700 m., tutta con un vento a tratti impressionate che mi mette a dura prova sfinendomi negli ultimi km, con raffiche e macchie di sabbia dove ci si affonda senza poter pedalare, che ci obbligano a dover procedere a piedi.

Le Barrancas sono bellissime ed affascinati, le forme e i colori che qui la natura manifesta lasciano a bocca aperta. Anche qui la macchina fotografica in grand’angolo non riesce a cogliere nemmeno un terzo della scena che ci circonda…

Nel tratto prima di Abdon Castro Tolay riusciamo ad incrociare solo un camion e una macchina in tutto il giorno. In paese prendiamo fiato e facciamo la conoscenza di alcuni bambini orgogliosi di giocare a pallone, imitando i loro campioni nazionali.

Ripresa la carreggiata, la sabbia ci mette alla prova più volte. Poi finisce il ripio e riprende l’asfalto ma anche la salita e l’immancabile vento contrario. Si sale ma con parecchia fatica.

All’imbrunire, per l’abbassamento termico tipico di queste zone rischio il congelamento, se ne accorge Attilio che mi vede tremare e mi salva da un sicuro malore. Arrivo stremato e in ipotermia, mi butto sul letto di un ostello con tutte le coperte che ci sono…

UNDICESIMO GIORNO – Mercoledì 27 novembre 2013 – Riposo a Susques

Mi sveglio molto presto disturbato da una TV, sono sconvolto per l’effetto della giornata di ieri, riesco a dormire solo un altro po’ e dopo avere fatto colazione decidiamo di trasferirci in un’altra struttura meno turistica e più vicina allo spirito che stiamo maturando. È chiaro che dovremo rimanere fermi a riposare un intero giorno dopo la fatica di ieri.

Si fa un giro in paese, scopriamo che non c’è internet, ma solo una cabina telefonica e una linea di telefonia cellulare che funzionano con una gigantesca parabola. È bello constatare che un intero paese sperduto e neanche tanto piccolo, possa vivere tranquillamente senza internet, senza ospedale, senza paura della vita e senza le sicurezze che noi ci siamo creati, ma che alla fine ci impediscono di vivere realmente in modo pieno.

Ogni volta che entriamo in questi paesotti di qualche migliaio di abitanti, avverto come sia presente una certa vita comunitaria e di relazioni spontanee.

Negli immancabili campi da calcio, gruppi di ragazzi mescolati a bambini più piccoli giocano assieme. La sensazione è quella dei paesi di una volta, la gente si muove molto più lentamente e perciò più armoniosamente. Si avverte la mancanza di quello stato ansiogeno che caratterizza il vivere delle nostre zone del nord d’Italia. Non esistono ipermercati e i generi alimentari si possono acquistare addirittura sfusi dividendo una confezione, come ho fatto io con alcuni pacchetti di crackers dato che non avevo spazio per prenderli tutti.

Si finisce con la solita cena di rifornimento proteico e di carboidrati.

DODICESIMO GIORNO – Giovedì 28 novembre 2013 – Una provvidenza chiamata Miguel

Partiamo verso le sette e mezza, guardando gli studenti in divisa andare verso la loro scuola. Un poliziotto ci aveva riferito che ci vogliono più di 12 ore per salire in bici al Passo de Jama posto a 4.173 m. e che se c’è vento da nord la cosa può anche diventare molto più lunga e addirittura impossibile. La mattinata inizia fresca e tranquilla, ma mentre il sole sale, aumenta progressivamente la temperatura e il vento contro, tanto da avere difficoltà a raggiungere i 12 km/ora. Sia io che Attilio sentiamo ancora le gambe appesantite e stanche, infatti dopo 7 ore di pedalata intensa, abbiamo appena percorso metà strada e la fatica accumulata si fa sentire. Costeggiamo il Salar di Olaroz, stando attenti ai vortici formati dal vento che solleva il sale e che se ti va negli occhi sei fritto.

Alle 4 di pomeriggio, come indicatoci dal poliziotto, troviamo in mezzo al nulla la casa di un pastore, il quale non può darci ospitalità perché sta già aspettando dei minatori che verranno a passare la notte. Ma ci propone di montare le tende dietro il muro di protezione delle pecore, che dice ci riparerà dal vento notturno… Potremmo accettare perché non siamo in grado di avanzare ancora per tanto, ma abbiamo già un ritardo di due giorni sulla nostra tabella di marcia e optiamo per tentare l’autostop. In due ore passa soltanto una vecchia pickup e il sole sta già calando. Vediamo arrivare in lontananza un camion a una velocità a dir poco sostenuta, alziamo subito le braccia in segno di richiesta di un passaggio, ma non sembra essere intenzionato a fermarsi. Allora succede l’imprevedibile fatto provvidenziale. Sul bordo della strada, un gruppo di pecore si alza dal loro riposo e si mette di colpo ad attraversarla, non vi dico la frenata del camion… Miguel ci fa salire subito, le bici le sistemiamo dietro, è un trasportatore di macchine che viaggia vuoto, ma ha fretta di arrivare al confine prima che chiuda la dogana, alla fine arriveremo che è già quasi buio.

TREDICESIMO GIORNO – Venerdì 29 novembre 2013 – Verso San Pedro di Atacama

Dopo avere passato il confine e la dogana ed essere entrati in Cile, torniamo a salire su un paesaggio desolato e pietroso con un sole accecante fin dal primo mattino, mentre il caldo torna a crescere con il passare del tempo. Sentiamo arrivare un camion, è Miguel… Non resistiamo alla tentazione di farci dare un altro piccolo strappo ed evitarci così una dura salita portandoci fino al punto in cui si incontrano i confini di Argentina, Cile e Bolivia. Salutiamo Miguel e facciamo onore alla straordinaria maestosità del vulcano Peine. Dopo un po’ finalmente si scende verso San Pedro de Atacama per oltre duemila metri sotto un’aria sempre più calda. Arriviamo alla cittadina nel pomeriggio, il calore è insopportabile, ma grazie ai recapiti avuti da Miguel, troviamo subito cibo ed alloggio. Siamo colpiti dall’ampia presenza di giovani provenienti da tutto il mondo, che si danno appuntamento in questo piccolo paese, che fa da anticamera al deserto dell’Atacama.

Dormiamo in una cameretta nuova appena inaugurata che sa ancora di vernice fresca.

QUATTORDICECIMO GIORNO – Sabato 30 novembre 2013 – Pedalare sulla luna.

La mattina, ce la prendiamo con calma visitando il paese e facendo una buona colazione.

Poi, a bici scariche, partiamo in direzione Valle della Luna, dopo avere attraversato un’area deserta arriviamo all’ingresso del parco a pagamento. Fa caldo, molto caldo e non c’è nemmeno un arbusto. Una strada luccicante ci conduce per paesaggi lunari, comprese delle gole formate quando milioni d’anni fa tutto ciò era sommerso dal mare. La salinità del terreno impedisce a qualunque forma di vita di attecchire, ogni tanto sorge anche qualche ‘monumento naturale’ formato da curiose rocce che emergono.

Credo che lentamente stavo cominciando a perdere il mio centro, nonostante fossi quasi da solo, l’essere circondato da rocce, sabbia e sale, mi portava ad aprire me stesso ponendomi ulteriori quesiti esistenziali e qualche affermazione: non devo cambiare nulla né nessuno, ma solo me stesso!

Torniamo in paese stanchi ma appagati da tanta curiosa bellezza e cerchiamo di rifocillarci dopo le energie bruciate.

La sera rivediamo San Pedro pieno di giovani di ogni dove.

QUINDICESIMO GIORNO – Domenica 1 dicembre 2013 – Verso il deserto di deserti: l’Atacama

Ogni giorno Attilio lascia uno dei suoi capi sul letto dove ha dormito, guadagnandoci in leggerezza, mentre io fatico ad imitarlo, oggi voglio cambiare e decido di lasciare la mia maglia tecnica azzurra alla quale sono più affezionato sperando che non sia solo un gesto simbolico, ma che mi insegni ad essere più libero.

La mattina presto siamo pronti per lasciare San Pedro, sono poco più delle sette e per le strade strapopolate di sera, si trova solo qualche cane assonnato. Facciamo un giro in paese mentre aspettiamo l’apertura di un bar, ma è domenica, bisogna attendere un po’.

Appena partiti in direzione Toconao, ogni segno di civiltà scompare, lasciando spazio a un ambiente che nella misura in cui si alza la temperatura incute anche paura. La strada è asfaltata ma faticosa per i leggeri ma lunghi saliscendi, che portano comunque sempre più in alto.

Arrivati a Toconao ci fermiamo a mangiare nella sua piazza e ripartiamo subito sotto quello che sta diventando un forno crematorio. In strada un altro incontro: questa volta è Reginaudo dal Brasile, un mio simile felice di avere avuto il permesso da sua moglie per fare il viaggio in bici a cui sempre anelava… Entriamo nel Salar de Atacama (una gigantesca riserva di litio, potassio e iodio per l’umanità) e dopo un po’ accettiamo la sfida di addentrarci ulteriormente per visitare la laguna di Chaxa a 2.300 m. sul livello del mare. Si tratta di un’area dove in un ambiente incredibilmente ostile, vivono i fenicotteri insieme ad uccellini, qualche lucertola ed altri piccoli animali, grazie allo stagno d’acqua che resiste alla siccità e che possiede nel fondo fanghi nutrienti.

Proseguiamo verso Socaire in un paesaggio dove i vulcani mostrano tutta la loro imponenza, che si alterna a colori unici e pietre bellissime, alcune dalla perfetta forma sferica.

Attorno a noi, il ‘solito’ spettacolo che ci circonda, nel quale si evidenzia chiaramente la nostra piccolezza e le domande riaffiorano continuamente: chi siamo, perché viviamo, dove andiamo veramente, esiste qualcosa oltre questa vita? Domande che m’ispirano anche qualche affermazione: vivi ciò in cui credi, ma evita di predicarlo agli altri!

Arriviamo a Socaire in riserva energetica da tempo e grazie al cielo, appena buio riusciamo ad entrare in paese. Mangiamo una minestra calda con bollito e verdure che ci confortano ed otteniamo ospitalità in una specie di pensione casalinga.

SEDICESIMO GIORNO – Lunedì 2 dicembre 2013 – Da Socaire a Paso Sico per La Strada degli Avventurieri

Siamo fortunati, abbiamo dormito al caldo e in un discreto letto anche stanotte, ma sappiamo di certo che la prossima non sarà così… Per prima cosa una colazione ipercalorica e poi rifacciamo provviste nella piccola bottega di fronte per ripartire con calma. Ci attenderà soprattutto fatica, vento e tanto caldo, nonostante partiamo da oltre 3.500 m.

Dopo qualche ora di viaggio, cerco di vedermi e mettermi a fuoco in quell’ambiente apparentemente così lontano dalla nostra idea di vita. Vedere Attilio e vedere me era la stessa cosa, mi sembrava di guardarmi allo specchio, entrambi punti infinitesimali persi nello spazio infinito, attorno a noi il nulla di un’ampiezza indescrivibile dove ci si confondeva a perdita d’occhio… Eppure, immerso in quel deserto, mi sentivo pienamente parte attiva e contemplativa al medesimo tempo.

I colori che oggi ci circondano sconvolgono l’anima, come una tonalità di verde in altitudine mai vista.

L’unica deviazione che troviamo in tutto il giorno lungo la strada è quella per la Laguna Miscanti, un luogo riconosciuto come spettacolare. Potremmo andarci, ma sarebbe troppo rischioso, per la nostra autonomia di cibo ed acqua.

È una giornata particolarmente caratterizzata dall’incertezza, dovremo fare totale affidamento sulla provvidenza, le nostre riserve alimentari e l’attrezzatura. Troviamo delle ruspe che livellano un piccolo tratto di strada e un breve pezzo d’asfalto che rilassa leggermente i nostri polsi. Prima che tramonti il sole, Attilio individua un’area idonea per accamparci e così montiamo le tende a oltre 4.000 m. con un discreto vento che non ci lascia fare tanto tranquillamente. La tenda è montata, le mie cose sono sistemate intorno, mi preparo ad affrontare la notte più dura e lunga di tutto il viaggio. Con Attilio ceniamo con una scatola di carne, biscotti, fagioli, il tutto appoggiati su dei sassi e seduti sulle nostre ginocchia. Non appena si fa completamente buio, non posso resistere alla tentazione di tirar fuori la testa a pancia in su e vedere il cielo più stupefacente che io abbia mai visto. La luna è nuova, perciò è buio totale, le stelle appaiono enormi e la loro quantità e il numero di punti stellari è impressionante. Ora capisco perché da queste parti ci sia uno dei telescopi più grandi al mondo, ma il buio attorno a noi non è meno sconvolgente. Il pensiero che un qualche puma possa farci visita mi sveglierà più volte nel corso della notte, a causa del vento che muovendo la tenda, mi fa immaginare il passaggio di qualche improbabile animale che ci gira attorno.

DICIASETTESIMO GIORNO – Martedì 3 dicembre 2013 – Parola d’ordine arrivare a El Laco

La mattina non serve la sveglia, sento il corpo come se mi avessero bastonato tutta la notte, così poco dopo l’alba facciamo colazione a cinque gradi centigradi, bevendo una fredda bibita ristoratrice preparata con una bustina di sali e sostanze varie e mangiando qualche biscotto. Si riarma il bagaglio e si dà uno sguardo alla strada davanti a noi: sempre in marcata pendenza, dovremo salire ad oltre 4.600 m.

Si riparte con slancio, la consegna è arrivare al confine entro sera, se vogliamo dormire al riparo. Durante questa giornata, entrambi verremo messi alla prova con dure fatiche fisiche e quindi psicologiche. Nonostante ciò, potremo ammirare pienamente alcuni salares come quello de Aguas Calientes fatto di acqua calda, intercalato da un’atmosfera surreale che ci darà lo stimolo e la forza per andare avanti nonostante il vento, la pietraia che forma la strada e l’altitudine, che non lasciano spazio né fiato per una chiacchiera tra noi.

Poi è la volta della laguna Tuyaito, che sconvolge il nostro essere con i suoi colori e i contrasti circostanti. Ma verso la fine le energie sono esaurite e dobbiamo ricorrere ad una forza di volontà estrema per non rischiare di dover dormire per terra di fianco alla strada. Tanto io quanto Attilio siamo in grande difficoltà, non abbiamo più gambe né fiato, pur viaggiando distanziati siamo consapevoli di essere l’unico aiuto possibile l’uno per l’altro.

La fatica mi aiuta a tirar fuori le convinzioni più profonde e metterle alla prova, mentre ripeto il mio credo più forte:

“in qualunque luogo tu vada, abbi il coraggio di arrivare in bici!” L’energia più potente è quella della tua mente. Mi facevo anche qualche battuta del tipo: adotta il risparmio energetico. Mi rendevo conto anche di quanto sia davvero preziosa l’acqua aldilà di qualunque retorica, infatti la benedivo ogni volta che bevevo, consapevole che non c’è vita senza di lei. Ho letto in giro che “Oggi l’acqua ha bisogno di noi, mentre noi abbiamo sempre bisogno dell’acqua”

Lungo il percorso, troviamo anche un triste tratto minato, residuo bellico della guerra fredda tra Argentina e Cile di alcuni decenni fa per questioni di confine.

Arriviamo a El Laco stremati, una miniera presidiata che prima ci accoglie in malo modo ma che grazie all’intervento di un “qualcuno” di misterioso, si trasforma nel nostro rifugio. Ci rifocilliamo qualche km più avanti, scortati niente meno che dalla polizia di frontiera, che ci ospita nel loro dormitorio, offrendoci il conforto di avere un semplice materasso di un letto a castello al caldo, nel quale ci addormentiamo sfiniti dopo avere mangiato, privi anche della forza per riuscire a parlarci.

DICIOTTESIMO GIORNO – Mercoledì 4 dicembre 2013 – Un confine sconfinato – un altro passaggio fortuito

Salutiamo il gendarme che ci aveva accolto ringraziandolo, ci spiega che dovremo salire ancora un po’ e che fino alla dogana argentina ci sono circa 20 km. Fin da subito il paesaggio confinante riprende a stupirci, colori strani mescolati che cambiano improvvisamente tonalità al passaggio di una nube, formazioni vulcaniche grigie che sembrano di un altro pianeta, costruzioni rocciose fuori dal comune…

Finalmente all’orizzonte si intravede la frontiera argentina che mi regala ancora quella sensazione di tornare a casa.

L’accoglienza dei militari è quasi festosa, un soldato ci offre un dolce preparato da sua madre, ci raccontano della loro vita di frontiera, degli interventi di riscatto durante la stagione invernale, quando possono cadere tre metri di neve nel giro di qualche giorno e bloccare chiunque intrappolandolo. Oggi scopriamo anche che la pista da noi seguita, da San Pedro de Atacama fin qui, è chiamata “la via degli avventurieri”: dopo averla percorsa, non abbiamo dubbi su quanto sia azzeccato questo appellativo.

In questa occasione conosciamo Daniel, un geometra che segue l’ampliamento della struttura e che ci porterà fino a San Antonio de los Cobres sulla sua pickup risparmiandoci oltre 100 km di ripio. Non perdiamo l’occasione di fotografarci all’altezza del Passo Alto Torrillo, a 4.560 m. sopra il livello del mare.

Dopo avere offerto il pranzo a Daniel grati per il suo passaggio, vista la minor fatica della tappa, facciamo i turisti percorrendo alcune vie del centro di San Antonio de los Cobres e cogliendo qualche bella frase colorata per terra: “le persone felici non sono quelle che hanno il meglio, ma quelle che sanno dare il meglio di sè” recita un dipinto. Oppure quelle trovate a scuola: “puoi censurare un amico a tu per tu, ma devi sempre lodarlo davanti agli altri”, oppure ancora: “il vero amico è colui che rimane al tuo fianco quando preferirebbe essere altrove”…

La sera mangiamo in una trattoria di minatori ed operai condividendo le medesime pietanze.

DICIANNOVESIMO GIORNO – Giovedì 5 dicembre 2013 – Passeggiando per S. Antonio de los Cobres

S. Antonio è uno dei tanti paesi in mezzo al nulla che abbiamo trovato, nasce ai piedi del monte Terciopelo, che significa velluto. Pur essendo molto semplice, abbiamo colto varie immagini di pace e serenità visitando le sue vie e i suoi originali negozi, che sembrano caricature dei nostri per come si presentano poveramente nelle loro vetrine. Abbiamo visitato il mercato artigianale insediato nella scuola ed osservato studenti in piazza con il computer portatile che comunicavano tra loro. È un paese famoso perché da qui parte il rinomato “Tren de las Nubes”, l’ultimo tratto di ferrovia ancora attivo a scopo turistico che viaggia a quasi 5.000 metri e che una volta entrava in Cile ed arrivava fino al mare. Il paese è anche centro militare d’istruzione di alta montagna, che consulteremo per conoscere le condizioni meteo e della strada, dato che all’indomani scaleremo la strada carrabile sterrata più alta al mondo dopo l’Himalaya e solo il pensiero fa venire i capogiri.

Questa notte devo assolutamente racimolare tutte le mie energie mentali se domani voglio farcela. Intanto dormiremo all’Ostello El Palenque, che significa Il Recinto.

VENTESIMO GIORNO – Venerdì 6 dicembre 2013- Salire verso il cielo

Siamo pronti, partiamo molto presto con l’immancabile salita, non possiamo permetterci di sbagliare l’arrivo previsto a La Poma, poiché nel pomeriggio il tempo potrebbe cambiare, facendoci trovare in una tormenta di montagna tutt’altro che piacevole, in cui la temperatura può scendere di oltre 30 gradi in pochi minuti.

So che nulla è possibile se non si materializza prima nella nostra mente, riordino le mie convinzioni sapendo che è la mente a condurre il corpo e non viceversa, e mi preparo a questa prova decisiva.

Saliamo verso quella che è una delle mete stradali ciclistiche più ambite per qualunque appassionato di cicloviaggi….

Dai 4.200 m. in su, scopro la fatica fisica più dura di tutta la mia vita: giramenti di testa, nausea, sfinimento, dovuti all’altitudine, sono i compagni immancabili ad ogni tornante, ma oltre alla mente anche lo spirito s’innalza e con esso il fisico riesce a darsi forza. A 4.700 m. ho una crisi fortissima, la testa mi gira e sono costretto a fermarmi completamente stendendomi per terra. Anche stando fermo tutto gira intorno a me come una giostra. Attilio è dietro ad una curva e non mi vede, non è certo il caso di mollare, dopo alcuni minuti riesco a riprendermi e risalire in bici. Attorno, il paesaggio è maestoso e la presenza di alcune nubi diminuisce la calura fino a farci sentire quasi freddo. Ci vestiamo ed affrontiamo l’ultimo dislivello prima del passo che si avvicina, stringendo i denti ad ogni giro di pedale. Attilio mi precede e taglia il traguardo euforico, io arrivo quasi incredulo di avercela fatta. Solo al ritorno del viaggio veniamo a conoscenza che alcuni ci hanno rimesso la vita per edema polmonare o cerebrale nel tentativo di fare quanto noi siamo riusciti a compiere. Foto di rito davanti al cartello ed episodio comico: arriva un fuoristrada, l’unico di tutto il giorno, sventolando degli abiti, erano i miei, (comprese le mie mutande…) che avevo seminato quando qualche km addietro ci siamo vestiti lasciando lo zaino aperto… Altra così detta botta di culo incredibile.

Ma né le emozioni né le sorprese sono finite, la discesa si rivela il poter gustare i colori e le montagne più belle che io abbia mai visto, alle quali faccio delle foto che rendono appena lontanamente un’idea di quello che ci circonda. Attilio dice: al ritorno a casa non ci crederanno che abbiamo vissuto in un paesaggio mai visto!

La discesa comprende una decina di guadi, uno dei quali abbastanza impegnativo con l’acqua a quasi mezzo metro.

Le emozioni di questo giorno sono talmente forti da riempirci di adrenalina, così da avere ancora la sera le forze per camminare in paese e andare a mangiare un buonissimo minestrone caldo prima di tuffarci nel letto.

VENTUNESIMO GIORNO – Sabato 7 dicembre 2013 – La discesa verso Cachi

La mattina facciamo una passeggiata visitando La Poma e riposandoci un po’, sperando di avere una strada un po’ più agevole con più discesa che salita, ma saremo anche sulla mitica ruta 40 con buona parte di ripio e saliscendi pronti a stroncarti le gambe perché non smettono mai. Curioso vedere che in mezzo a questo deserti, l’Argentina si prepara a estendere la fibra ottica per il suo territorio. La strada si rivela una meraviglia ai nostri occhi, con un paesaggio in continuo movimento e che costeggia sempre el rio Calchaquì che ci regala tonalità di verde e rosso speciali.

È difficile non rimanere estasiati ed assorti di fronte a una tale bellezza, così selvaggia, così misteriosamente satura di un fascino che ti prende da dentro.

Dopo varie ore arriviamo contenti a Cachi, la cittadina sicuramente più bella e vivibile vista finora, con angoli pieni di mistero in mezzo a case coloniali e le sue affascinanti vie. È definita la cittadina dove il tempo si è addormentato e noi non vogliamo certamente svegliarlo. Non ci penserei due volte se un giorno mi dicessero che sarebbe possibile portare a vivere qui la mia famiglia.

VENTIDUESIMO GIORNO – Domenica 8 dicembre 2013 – Una ruta “espectacular”: la Cuesta del Obispo!

La mattina seguente è nuovamente ora di ripartire, saremo rimasti volentieri a Cachi per gustare ancor di più della sua pace di città che dorme, ma il viaggio deve proseguire. Essendo l’8 dicembre, appena prima di uscire dalla cittadina, ci imbattiamo nella processione dedicata alla Madonna, che lasciamo transitare davanti a noi e le affidiamo la nostra sorte di pellegrini per il mondo. Dopo solo un’ora siamo nuovamente in mezzo a zone desertiche ma meno ruvide e pietrose. Al nostro fianco ci insegue una catena di montagne dalle decine di venature colorate, che ci impressiona con la sua magnificenza. Poi, entriamo nel Parque Nacional de los Cardones, un’area protetta caratterizzata da giganteschi cactus (i cardoni) che dominano la zona, nella quale si trovano anche reperti archeologici di viadotti millenari risalenti all’impero incaico, come la Retta Tin Tin.

Passato il parco si continua a salire verso Piedra de Molino. Il vento non è dalla nostra parte, ma tempra la nostra volontà di andare avanti, non lo devi sfidare, ma saper piegarti al suo impeto cercando di essere un tutt’uno con lui. Sfidarlo vuol dire sfinirsi, il vento è un maestro di vita che ti insegna a chinarti e ad accettare.

Raggiunta la meta a 3.457 m. viviamo un altro spettacolo emozionante: la discesa della Cuesta del Obispo, un serpente interminabile di tornanti in mezzo ad una continua variazione cromatica. Ma appena inizia la discesa, c’è un altro affascinante luogo: La valle incantata. Attilio rimane a bordo strada a rilassarsi ed io scendo nella valle per qualche km per ammirare i suoi colori rossicci. Al mio ritorno riprendiamo la discesa fermandoci ogni tanto per riposare i polsi dal continuo frenare ed osservare il panorama che ci circonda. Infine si torna sull’asfalto e prima di sera, dopo immagini sempre diverse, raggiungiamo El Carril, una cittadina contadina sulla valle che produce frutta e verdura e ha anche qualche industria. Dormiamo ospiti di un signore vedovo da poco che ci sistema in due reti sfondate, ma preferiamo solo il materasso messo per terra nel caldo soffocante ed umido della stanza.

VENTITREESIMO GIORNO – Lunedì 9 dicembre 2013 – A Cafayate, ma in corriera!

Visitiamo un po’ il paese e scopriamo il centro informazioni turistico nel municipio. Valutiamo l’opportunità di prendere la corriera per raggiungere Cafayate, siamo molto stanchi e in ritardo secondo i piani, così preferiamo avvicinarci mediante un passaggio, il terzo del viaggio. Mentre attendiamo il pullman, una coppia arriva pedalando stracarica di bagagli, sono un canadese ed una ragazza centroamericana che scendono verso la Patagonia e che si sono conosciuti a Panama vari mesi fa durante il tragitto.

Stare in corriera comodamente seduti con le nostre bici in bagagliaio non ci dispiace e non ci disonora, anzi, ci fa sentire più normali…!

Ne approfitto per scrivere qualche riflessione ed affermazione, come: sii il produttore diretto di almeno tre dei cibi che consumi, oppure: Liberati di almeno un oggetto al giorno e forse sarai libero all’arrivo del tuo giorno.

La corriera è puntuale ed alloggiamo nell’ottimo ostello Rusty-K, poi passeggiamo per la turistica cittadina.

Camminando scopriamo una gelateria dove una signora vedova da poco del marito italiano, ci propone il suo originale gelato al vino rosso con i colori della nostra bandiera.

È curioso vedere una coppia di poliziotti in piazza girare in bicicletta e in pantaloni corti.

All’ora di cena, finiamo per andare a mangiare il piatto tipico argentino chiamato empanada, un involtino con carne o verdure di vario tipo, che viene offerto ovunque nel paese, il tutto accompagnato dalla birra nera Salta. Alcuni locali che visitiamo, espongono sui loro muri poemi locali e accettano autografi e dediche sulle loro pareti interne.

VENTIQUATTRESIMO GIORNO – Martedì 10 dicembre 2013 – Le forme stupefacenti della Quebrada de las Conchas

Partiamo con calma e senza borse per ripercorrere a ritroso una parte di quanto fatto in corriera il giorno prima. All’uscita della città, un gruppo di numerosi contadini bloccano la strada con bidoni incendiati in segno di protesta contro i bassi salari che ricevono per la raccolta agricola. Spesso si tratta di quella buona frutta che noi acquistiamo a basso prezzo. Ci lasciano passare in mezzo a loro davanti alla polizia che li osserva.

Pochi km e ci immergiamo nella coloratissima strada della Quebrada de las Conchas, circondata da svariate forme che richiamano palazzi, animali o altro, intervallate da estese cantine di proprietari terrieri… Lungo il cammino traggo ispirazione da queste forme insolite e stupefacenti e sapendo che il viaggio volge al termine, rileggo in me le mie convinzioni più profonde e le scopro più granitiche che mai, forse rinforzate e temprate da questo cammino duro quanto le rocce che lo formano.

Mentre guardo estasiato il passare di un condor che immortalo al volo, mi dico: liberati dall’illusione della tecnologia e forse potrai salvare la tua umanità. Attento, pensa globale, ma agisci locale.

Al ritorno facciamo un’altra conoscenza, questa volta una simpatica coppia di tedeschi super organizzati ed attrezzati con i quali scambiamo due chiacchiere. Guardiamo le loro bici: non c’è niente da fare, i tedeschi sicuramente non improvvisano nulla in fatto di attrezzature…

VENTICINQUESIMO GIORNO – Mercoledì 11 dicembre 2013 – L’ultima pedalata per Santa Maria – attraverso il fascino della ruta 40

Partiamo verso Quilmes lasciando dietro a noi stormi di pappagalli, cantine e case coloniali. Arrivati alle rovine più famose della zona, una guida dei popoli originari ci racconta l’avvincente storia del popolo dei Quilmes e la loro resistenza secolare contro l’invasione spagnola. Il luogo è pieno di quella sacralità tipica di dove è scorsa tanta vita, ma ormai restano solo le memorie dei discendenti e le pietre, mi dico inizialmente. Mi ricredo subito e cerco di caricarmi della forza interiore di quel popolo che invece sono certo sia ancora presente nel luogo.

Torniamo ad incontrare i tedeschi, in effetti non ci sono molte altre strade da percorrere. Il pomeriggio, dopo aver superato praterie, altri monti e qualche piccolo paesino di campagna arriviamo a Santa Maria, schivando verso sera un altro temporale. In paese incrociamo una simpatica famiglia in moto con i loro due figli piccoli, liberi di girare senza troppi caschi o cinture nonostante le norme li prevedano.

La sera castighiamo lo stomaco con bistecche, uova, patate fritte e per fortuna anche un po’ di verdura fresca, mentre sul tardi ci incamminiamo in direzione della stazione delle corriere dove ci imbarcheremo per La Rioja.

VENTISEIESIMO, VENTISETTESIMO, VENTOTTESIMO GIORNO – Giovedì, Venerdì, Sabato 12, 13, 14 dicembre 2013 – Ritrovo coi parenti a La Rioja

Passiamo la notte viaggiando in corriera e in mattinata arriviamo a La Rioja dopo avere attraversato due province. Una mia cugina ci dà il benvenuto e alloggio in casa sua.

Il giorno seguente è il massimo del relax per le vie della città , in cerca dei luoghi dove durante l’estate trascorrevo la mia infanzia andando a trovare mia nonna.

Siamo già nuovamente pronti per prendere la corriera che percorrerà i 1.250 km che ci separano da Buenos Aires.

VENTINOVESIMO GIORNO – Domenica 15 dicembre 2013 – Buenos Aires, l’antitesi affascinante del viaggio

Arriviamo alla città simbolo dell’Argentina e da subito è curioso vedere le nostre bici muoversi in tale ambiente. Troviamo un piccolo albergo a buon mercato ed andiamo a passeggiare con amici. Nel pomeriggio percorriamo a piedi alcuni luoghi tipici: la lussuosa Galleria Pacifico, la Casa Rosada (palazzo di governo), il Cabildo, la Plaza de Mayo, la via dei mercati, mentre la sera si va al quartiere Palermo e poi si cena alla grande.

È ora di bilanci, durante la notte un concetto mi emerge con chiarezza: non siamo fatti per fare ma per contemplare, a cominciare dalla natura!

TRENTESIMO GIORNO – Lunedì 16 dicembre 2013 – Sul porto di Buenos Aires, Palermo con Jessy

Il giorno seguente, io e Attilio camminiamo vestiti finalmente ‘in borghese’ e senza le due ruote fino al porto, dal quale osserviamo in prospettiva i grandi palazzi della città, visitando anche un vecchio veliero: la fregata Sarmiento. Alla fine, nel pomeriggio finiamo in un bar del porto dove due gentili cameriere vestite da marinaie ci fanno gustare due freschissime birre spumose.

TRENTUNESIMO GIORNO – Martedì 17 dicembre 2013 – Un taxi per Ezeiza per volare a casa

E’ il nostro ultimo giorno argentino, un tassista spericolato viene a prelevarci in albergo mentre si gusta la musica porteña alternata a qualche notizia sul traffico e in 20 minuti siamo all’aeroporto. Il nostro volo parte inesorabile verso l’Europa.

TRENTADUESIMO GIORNO – Mercoledì 18 dicembre 2013 Camminando in Europa

Alle 5 del mattino siamo a Madrid, un rigoroso controllo doganale antiterrorismo ci fa capire che siamo tornati al nostro mondo e ci sveglia decisamente prima di salire sull’ultimo volo verso Malpensa.

Un sole pallido ci dà il benvenuto velato nella tipica nebbiolina milanese di dicembre e poi la macchina corre veloce verso Verona, dove mi attende tutta la famiglia per un abbraccio d’altri tempi.

EPILOGO

Grazie Attilio, per la tua forza silenziosa, per la tua presenza costante e rassicurante, per avermi permesso di sentirmi un tutt’uno con i sassi, il vento, il sole e pienamente vivo, senza di te questo viaggio non sarebbe stato possibile.

Grazie soprattutto a Paola, che ha la pazienza di aspettarmi ad ogni viaggio e che mi lascia sempre ripartire.

Grazie a Voi bici fedeli, espressione della tecnica usata bene, chissà se un giorno torneremo insieme a rivivere questo viaggio da sogno dal quale non vorrei svegliarmi mai!

 

Grazie a voi della vostra lettura ed interesse !

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