
NELLA PANZA DELLA FRANZA – FINO A PARIGI A TROVARE LA FIGLIA LONTANA
NELLA PANZA DELLA FRANZA – FINO A PARIGI A TROVARE LA FIGLI ALONTANA
km 823 in bici (più 104 km in treno)
“Che lo Mesto Purkaballo sia ammonito su questa pietra et abbia meticolosa cura a non trattari li figli con disegual misura!”
L’iscrizione a piccoli caratteri è impressa nella scala a chiocciola del chiostro del Convento da Ordem de Cristo del Castelo Templário de Tomar nel Portogallo centrale.
Così come sono andato quattro anni fa a Berlino dal figlio grande, allora dottorando di matematica, devo proprio andare dalla piccolina che studia malattie genetiche a Parigi. L’idea iniziale, di un’estetica semplice e tagliente, era quella di tracciare una linea retta, quasi verticale tra Nimes e Parigi attraversando il Massif Central, Vichy e poi seguire prima l’Allière e poi la Loira, e infine arrivare a Fointainbleu e a Parigi.
Ma non sono preparato a passare per Genova.
Guadagnerò quindi quota in automobile fino allo spartiacque alpino e da Modane arriverò a Parigi seguendo le vie d’acqua: l’Arc, l’Isère, il Rodano, la Saona, il canale di Borgogna, la Yonne e la Senna.
Ho la testa dura. Non ho carte. Non ho tracce caricate, tanto non funzionerebbero. I fiumi sono grandi e ben visibili nel paesaggio, li troverò con una certa facilità. Almeno credo.
In compenso ho uno straordinario taccuino per gli appunti, il Carnet “Voyage” preso dalla figlia direttamente dall’editore Gallimard a Saint-German-des-Pres.
1 da Modane a Chambery km 104 – (Tutti è bravi in discesa!)
L’inizio non è dei più alpestri, la D1006 scorre tra la ferrovia e l’Autoroute de la Maurienne, a volte proprio sotto i lunghi viadotti dell’autostrada. Ma si va giù alla grande in costante leggera discesa. Ho la bici nuova, è il primo viaggio serio che ci faccio. La sento più piantata per terra dell’altra, stabilissima, forse un tantino pesante, e con quella ruota piccola, da 26 pollici, laggiù lontana sotto il fanale a cui ancora non sono proprio abituato. Il corso dell’Arc interrotto da dighe e piccoli laghi artificiali mi fa una discreta compagnia, le Alpi intorno a me non sono esaltanti, ma un poco sottotono, i pratoni comunque di un gran bel verde sono intonati a questo viaggio. Non c’è gran traffico, arrivo presto a Saint Jean de la Maurienne sopra l’ampia confluenza dell’Arvan sull’Arc e mi fermo al museo dei coltelli Opinel. Faggio di Savoia e acciaio del Grand Filon con cui hanno forgiato nientemeno che la Durlindana di Orlando. Seguono villaggi e paesi: La Chambre, Aiguebelle, si entra nella valle dell’Isère e poi la vecchia capitale sabauda Chambery.
Ma il sottotitolo più appropriato di questa prima giornata sarebbe quello che diceva spesso la nonna di mia moglie, maestra del villaggio di San Donnino nel preappennino marchigiano, in tono più pregnante e dissacrante
“In discesa, ogni merda corre!”
2 da Chambery a Lyon – (La disfatta del Col du Chat) – Km 60 in bici (+104 in treno)
Imbaldanzito dal tragitto di ieri decido di arrivare fino a Lyon, sebbene da qui siano circa 130 km. Si tratterebbe di raggiungere il lago di Bourget in leggera discesa e poi, attraverso una galleria, superare una affilata costiera di monti a ovest del lago stesso e raggiungere la ciclabile “ViaRhona” che seguendo il Rodano mi porterà fino a Lyon.
Appena fuori dell’albergo prendo la ciclabile diretta a Le Bourget-du-Lac (solo 11 Km) ma già dalle parti della fiera la perdo e mi infilo più avanti dentro la D14 che inizia a salire tra pascoli, mucche e fattorie di montagna.
“Ma non doveva essere in leggera discesa?”
La discesa arriva infine ripida e mi trovo nel grazioso centro di Le Bourget-du-Lac. La strada ora sale lenta e trafficata sopra la riva occidentale del lago, la D14 diventa D1504. Inizio a sentire la puzza di bruciato, quando le strade hanno il numero sopra il mille ci sono sicuramente rogne. Infatti dopo una curva verso sinistra ecco la bocca del tunnel, lungo solo 1500 metri, ma con lì in bella vista una caterva di segnali con anche il divieto per ciclisti e pedoni.
“E che palle!”
Cosa faccio? Rimango lì ingrugnito per alcuni secondi o minuti, faccio il tamarro e passo lo stesso? No, non voglio nutrire gli antichi pregiudizi sui popoli del sud e non solo. C’è solo da prendere la strada del Col-du-Chat che passa sopra la galleria. Passo del Gatto quindi. Il gatto è sempre stato la mia bandiera, da anni parlo anche a sproposito di gatto e gatti. Sarà buon segno. Torno indietro, in discesa e prendo la D914, già il numero porta buono, ma la salita è subito carogna e poi diventa carognissima.
Non ho fatto quasi nulla per tutta l’estate e poi sono vecchio, e poi ho sempre le borse troppo piene, questa volta anche il computer portatile e poi, e poi… Mille scuse e…Forse il vulnus di essere solo?
Arrivato al primo tornante e ce ne sono altri sopra, abbandono la lotta.
“E chi ho mazzato?”
“Si ma allora che si fa?”
Torno indietro, girerò attorno al lago a oriente e raggiunta la piana a nord finalmente incontrerò il Rodano. Ma le chiacchiere non fanno chilometri. Perdo tempo dentro una splendida ciclabile, piena di gente, proprio a coté dell’acqua cristallina del lago. Mi fermo a pranzo nella molle Aix-les-Bains e poi dei velenosissimi saliscendi che seguono la costa e la linea ferroviaria rallentano ancora il mio incerto andare. Ma sono fuori rotta e fuori tempo, i chilometri fino a Lyon sarebbero diventati ben 170. Non ci arriverò mai. Ma si diceva due righe sopra della linea ferroviaria.
Il treno!
Sarebbe una facile uscita dall’impasse, ma anche una fuga.
“Ma non si fa!”
“Sì che si può fare! Sta zitto!”
Vado avanti indeciso tra i due contendenti fino a che incontro l’indicazione per ViaRhona – Eurovelo 17, ma anche quella per la gare de Culoz. Con un colpo di mano il truce ha sopraffatto l’altro, il puro e lo ammonisce anche di stare muto come un pesce nell’acqua.
“Che non lo sappia nessuno!”
“Si va alla gare de Lyon Part-Dieu avec le TER della SNCF che viene da Geneve-Cornavin!”
A Lyon davanti alla stazione risaltano due grandi costruzioni la Biblioteca Municipale a ben 17 piani e una torre cilindrica alta 165 metri con in cima un albergo, coperto da un tetto piramidale: qui la chiamano la matita. La giornata è andata già abbastanza storta che mi pareva passabile finirla in maniera esagerata appollaiato lassù, e poi hanno anche il garage sotterraneo per la bici. Entro, la reception è al trentaduesimo piano, lascio la bici davanti all’ascensore cha va su come una spada. Entro in un vastissimo ambiente circolare vuoto fino al tetto piramidale trasparente e su cui si protendono sette serie di semiarchi romanici.
“È veramente ‘na figata!”
La signorina elegante mi dice anche che hanno la camera ma quando gli chiedo per la bici allarga gli occhi e sentenzia che non hanno posto “pour le velo” e lo devo lasciare fuori.
“E il garage sotterraneo?”
Tento ad insistere, ma lei, a labbra sottili, prova a tenere la faccia senza espressione, ma non ce la fa.
“Dans le garage il n’y pas le place pour le vélo”
Nei miei viaggi in Francia mi devo incontrare solo con una così-così all’anno. Per questa volta mi sono tolto il pensiero presto. Ringrazio e saluto. Vado al Mercure dove una signorina come quella di prima mi fa contenta.
“Nous sommes amis des voyager a vélo!”
E poi chiama il ragazzo ad occuparsi della mia bici. Lui in un misto tra italiano spagnolo e francese approva il modo delle Ortlieb di attaccarsi e staccarsi al portapacchi
“C’est genial!”
Lione è gradevole ed elegante, divisa in tre dalla confluenza della Saona sul Rodano. Forse con troppa leggerezza scelgo di cenare in un Bouchon tra i tanti della riva destra della Saona della romana Lugudunum. Mi aspettavo solo un locale senza metafisica, magari anche dozzinale e scontato invece il cibo è risultato il peggior intruglio di grasso e cotenna di maiale e zampetto di maiale, mal cotto, che io abbia provato. Buono-buono e muto come un pesce nell’acqua cerco senza successo di finire quello che mi era stato portato. Almeno la birra era normale e il cameriere, di origine campana non meglio definita, aperto e scanzonato, completa il quadro:
“Amico mio, che vuò fa’. Tu si capitato int’a panza da Franza!”
3 da Lyon a Mâcon– km 85
Il ragazzo di stamattina è nuovo, non è pratico del garage, non trova la mia bici. Mi porta prima una MTB e poi un relitto nascosto lì dentro da lustri. Gli dico:
“ é color Bourdeaux, c’è scritto sopra “SURLY” in bianco!”
Niente, non ne viene a capo. Lo convinco a portarmi con lui e finalmente la ricerca ha successo.
La voie bleue V50 corre sul lato destro della Saona, dentro la strada normale ma è domenica mattina non c’è gran movimento di auto e poi i francesi sono attenti e rispettano i ciclisti. A Fontaine-sur- Saône si cambia lato, le chemin de la plage diventa ciclabile seria con fondo in cemento ma già a Neuville-sur- Saône, all’altezza del grande stabilimento farmaceutico Sanofi, degenera in parcheggio per autocarri e in polverosi incontri con veloci furgoncini, su un fondo di breccione. Si continua quasi sempre su sterrato, sempre solitario e assolato a volte un peletto troppo sassoso.
“Si! Sono palloso.”
Taglio qualche ansa del fiume, mi fermo a Montmerle-sur-Saône perché mi piace il nome, dopo aver fatto i miei soliti casini per superare uno stagno arrivo a Mâcon, dall’altra parte della Saona.
4 da Mâcon a Chalon-sur-Saône km 70
Da Mâcon a Tournus ci sono trentacinque chilometri di ciclabile liscia e vellutata. Mi fermo a Tournus non tanto per rivedere l’abbazia che conosco bene ma per mettere la mia bicicletta nello stesso posto di quelle di due cicloviaggiatori seri e secondo il mio pensare di allora, mitici, viste lì in un mio viaggio preciclistico.
“Ho avuto sempre la coda di paglia.”
Da ora la ciclabile che costeggia la Saona dovrebbe essere abbastanza sassosa, decido di percorrere piccole strade asfaltate a est del fiume. Va tutto molto bene, il ponte, la strada deserta sulla sinistra fino al villaggi di Le Tailet e Ormes. Più avanti mi immetto nella D933 e quindi a Saint-Germain-du-Plain nella D978, ma non è un dramma. In vista di Chalon-sur-Saône mi faccio fregare ancora una volta dai cartelli per le auto e percorro grandi raccordi che potevo evitare. Ma come già acclarato più volte:
“Ho la testa dura.”
Da Chalon-sur-Saône non ti aspetteresti che poco più di nulla che una città con case a graticcio sulla piazza del mercato con una cattedrale dalla rifatta facciata neogotica in riva al fiume dove si fermano tristi corrierate di cinesi utilizzati come i pacchi di Amazon per riempire gli spazi vuoti di un turismo becero che ormai sommerge tutto il Vasto Mondo. In albergo le donne sono lì attorno al minuscolo ascensore ad aspettare il loro turno per salire dentro un chiocciare sommesso e grave come galline di un pollaio di una fangosa valle fluviale di un lontano e fetido oriente. Gli uomini rimangono muti nell’androne di entrata o ancora più muti a trafficare con le valige che scaricano da un autobus con la targa croata.
Cinesi, alla periferia della Borgogna, dentro un autobus croato?
Ma chi disegna queste cose?
Sarebbe poi successo al Louvre, dove la maggior parte dei visitatori, orientali che a orde compatte percorrono incessantemente i corridoi e le scalinate, non sanno nemmeno perché sono dentro quel palazzo. Loro fotografano gli stucchi dei soffitti e si fanno piatti selfies davanti alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello o a Cristo in Croce di El Greco, tanto è uguale. E poi nonostante che quel mercoledì ci fossero almeno un milione di visitatori, che a 17 euro a testa fanno un milione e settecentomila euro, mi apparve strano che non avessero potuto pagare due custodi in più per tenere aperta la sala di Gudea di Lagash e quella della nave dei folli di Heronymus Bosch. Ero andato lì apposta.
“Ah Manuel. Da te non mi aspettavo un dispetto così devastante.”
Ma torniamo a Chalon-sur-Saône, con l’inaspettata e singolare isola di San-Laurent dalla strada principale illuminata a giorno dai lampioni del Sindaco, invasa dai tavoli di ristoranti, bistrot, brasseries di tutte le indoli e provenienti dai mille angoli del Vasto Mondo in cui si può vivere una interessante e stimolante promiscuità sociale oltre quella dei sapori, sentori e odori delle cucine.
5 da Chalon-sur-Saône a Pouilly-en-Auxois – km 134
Fino a Cagny costeggio il canal du centre con l’eurovelo 6 poi attraverso il percorso delle vigne e arrivo ancora una volta a Beaunne. Con tutte le penne arruffate che ancora mi ritrovo, nemmeno mi passa per la testa di salire sopra le colline di occidente, come fa l’autostrada A6 Per Parigi, e poi scendere como sparvero sul canal de Bourgogne dalle parti di Le Pont d’Ouche. Vado per la route dipartimental, sapendo di segnare un antiestetico gancio sulla carta, come se dovessi fare un lavoro noioso ma necessario. Inizia finalmente il canal de Bourgogne da Digione. La ciclabile è bella ma noiosetta, la trovo troppo salitosa, fino allo spartiacque di Puilly-en-Auxois guadagnerà almeno 200 metri, e poi è veramente un caldo gatto per essere la fine di settembre; finisco l’acqua, di fontanelle nemmeno a parlarne, ne ho vista una in Savoia un’altra a Mâcon, poi nisba, non si incontra un paese serio con una bottega, i villaggetti non hanno nulla e se c’é qualcosa è chiuso. Molto più avanti scopro, a bordo canale, un pertugio con dentro due maliarde che sono pronte ad arpionare i poveri pellegrini e rapinarli. Come da recente letteratura di cicloviaggio, mi aspettavo di trovare acqua da pagare, sopra i dieci euro al litro.
“E invece no! Vive la France!”
Basta poi poco, solo sapere di avere la bottiglia piena sul tubo obliquo che il mondo migliora e i pescatori tornano a salutarti, i canard e gli aironi a segnare l’acqua e il cielo…
Poco prima di Pully-en-Auxois il canale termina, lui entra in galleria io gli passo sopra per una strada alberata e con i pozzi di areazione del canale sottostante. Pully è decisamente un’attraente cittadina della Borgogna con balconi e finestre fiorite e con addirittura due graziosi piccoli alberghi in centro dalle reception rigorosamente chiuse o rigorosamente vuote e dove tutti sono rigorosamente:
“Desolées: Nous n’avons pas des chambres.”
Nessuno messo, araldo o scudiero aveva annunciato l’imminente mio arrivo?
Si rimane un pochino sorpresi.
Al Mesto e povero Purkaballo tocca un albergo senza metafisica, ed altrettanto ristorante, diciamo di stile norteamerikano, dentro gli svolazzanti quadrifogli dell’incrocio tra le due autostrade A6 e A38.
6 da Pouilly-en-Auxois a Pacy-sur-Armançon – km 93
Il canale, forse il meno urbano che abbia percorso, scorre muto e solitario in discesa, affianca con lenti meandri il fiumetto Brienne che poi confluisce nell’Armançon. Le chiuse si susseguono silenti, non ci sono battelli in giro, non ci sono cicloviaggiatori, solo i pescatori che almeno stavolta sono contento di salutare. Giornata comunque lenta e calda ma con la sorpresa in camera di una fredda demi-bouteille di acqua Badoit diablement pétillante.
La serata promette bene. La ostessa si interessa a me.
“De quelle ville d’Italie?
La fille all’ecole doctoral de l’Universitè Paris Descartes. Tres bon!
En Velo?”
E infatti segue trionfante attorno ad un succulento boef bourguignon protetto da un Côte de Beaune, per l’occasione giustamente arretrato, e allo sfolgorio morbido dell’assiette de fromage con l’apice glorioso, penetrante e persistente dell’Epoisisse de Bourgogne. Quello dei monaci xxx.
Questa volta la Borgogna mi stava aspettando. É quasi tutta per me, il luogo dove mi sono fermato è un comune, diciamo con 50 case e 200 abitanti, nel bar annesso al piccolo ristorante chiacchierano di vino e vigne gli uomini del villaggio, al tavolo sullo spigolo è seduto un altro lupo solitario che protegge il suo taccuino di appunti, mi guarda e io lo guardo con sospetto e rispetto. Ci salutiamo con un impenetrabile e silenzioso segno di assenso.
“Bon Voyage!”
Partirà al mattino con la bici molto prima di me.
7 da Pacy-sur-Armançon a Joingy – km 80
Oggi pioverà ma non è un cosa che mi interessa più di tanto, il canale scorrre tranquillo alla mia destra, il castello di Tanlay si specchia nel suo stagno, son tranquillo e appagato, comincia a piovere forte ma continua a non fregarmene, ogni tanto il fondo diviene sterrato, a tratti con ghiaia troppo grossa, ma va ben cosi.
Poco dopo il Port de Plaisance de Saint-Florentin dove ero andato a cercare inutilmente il battellino con cui avevo navigato nel passato per il canal de Bourgogne e per la Yonne, la ciclabile diventa seriamente con il fondo sterrato. Ci sono i lavori per la sistemazione ma non e una buona cosa, hanno già scavato la sede nuova e in parte steso il fondo da stabilizzare. È un pastrocchio, chiaro e morbido su cui affondano le ruote, e fortuna che le ho larghe 2,15 pollici. Ma non basta. Più avanti sono proprio lì con grandi sbuffi di gasolio un gigantesco Motorgrader Caterpillar giallo e un altrettanto ingombrante giallo compattatore a ruote che vanno avanti e indietro ed è una serie dispersiva di Passo io e passi tu. Finalmente ne sono fuori ma la ciclabile mi ha stufato, fuggo sulla strada asfaltata fino a Migennes e quindi a Joigny, alacre cittadina abbarbicata su un ripido colle a nord della Yonne e indolente dentro un lungo e scenografico tramonto. L’albergo è fuori mano, forse troppo essenziale e impersonale, ma mi fanno mettere la bici in camera. All’altro albergo, quello in centro, manco a pensarci:
“Desolé, nous n’avons….”
Ma in compenso hanno un accogliente e caldo ristorante, pieno di clienti tedeschi ai quali sembra che io sia un mago del francese parlato.
“Ma quando mai? Che al liceo ho avuto sempre cinque di francese perché mi vergognavo a parlarlo!”
Il giovanissimo cameriere, poco più che un bambino, talmente formale tanto da poterlo far pensare sussiegoso e forse un tantino sopra l’ambiente reale, è sempre
“D’accord.”
Alla fine mi porta pure la carte des cafés che mi ha creato dei seri problemi ad arrivare alla scelta ottimale per l’occasione: un caffè dell’isola di Sumatra.
8 da Joigny a Fontainbleu – km 87
La strada ora è larga e monotona, si allontana e si avvicina al fiume con ampi saliscendi, passa dentro centri abitati, anche con una cerchia muraria e porte interessanti come Villeneuve-sur-Yonne. Sens è una grande città. La conoscevo perché qui, alla Corning France, ci costruiscono le lenti rosse dei miei occhiali. Ora mi accorgo che è anche il centro della Gallia dei Senoni, gli stessi galli di Senigallia nella Media Marca. Scopro anche che Brenno il conquistatore e saccheggiatore di Roma nel 390 a.C. era partito da Senigallia che non è diventata la capitale imperiale solo per uno scherzo della storia.
Ora il percorso (la D58) rasenta i colli alla sinistra del fiume, mi ricordo Pont-sur-Yonne e poi più nulla fino a Fontainbleau, stracolma di turisti, molti italiani.
“Ma. Non c’è un cinese manco a pagarlo oro!”
“???”
Però non si trova posto per cena, nulla ai locali francesi d’ordinanza, nulla nelle creperies bretoni, mi tocca aspettare il terzo turno al secondo ristorante indiano per un pertugio sotto il bancone del bar ed il registratore di cassa.
9 da Fontainbleu a Paris – km 111
Parto molto presto, attraverso il bosco di Fontainbleu e poi Melun, già cosmopolita Banlieu della metropoli. Il tracciato sulla riva sinistra non è affatto esaltante, capannoni, aree incolte e tutto quello che ci si aspetta dalle periferie, poi inizia una bella ciclabile che a volte si mescola con la strada ma rimane godibile. Dopo Ivry-sur-Seine, passo sotto la periferique, sono nel comune di Parigi, passo sotto il Vecchio Gran Mulin e il Magasin a Farine ora occupati dalla Université Paris VII – Diderot, davanti alla scalinata quasi da piramide maya della Biblioteque National de France Francois Mitterand abbandono il marciapiede della ciclabile e scendo sulla Senna che, tra impianti di betonaggio e il fondo a selci troppo grosse, mi porta fino alla piscina comunale Josephine Baker (galleggiante sulla Senna), alla Gare d’Austerliz e poi al Jardin Tino-Rossi, sotto l’Universitè Paris VI – Pierre et Marie Curie. Sono davanti all’ Île de San Louis e all’Île de la Cité dov’è piantata l’abside di Notre Dame de Paris.
Sono arrivato troppo presto, oggi Valeria non uscirà prima delle 18 dal “labo”, ho il tempo di andare a Saint Denis al cospetto di tutti i re di Francia sepolti dentro la prima chiesa gotica del Vasto Mondo. Poco a monte di dove mi trovo ora, dalla Senna, dal Quai de la Rapée si stacca verso nord il Canal de Saint Martin che per poco dopo Place de la Bastille è ora interrato ma poi arriva bellamente, in soli 10 Km, con tanto di chiuse classiche fino a Saint Denis, passando anche dietro lo Stade de France.
Per solo nove euro mi infilo tra i riflessi algidi del marmo bianco nell’intreccio vertiginoso di almeno 2000 anni della nostra Europa: Carlo Martello, Pipino il Breve, Carlomanno, ma anche Carlo d’Angiò che sconfisse Manfredi a Benevento il 26 febbraio 1266 e quindi re di Sicilia, passando per Francesco I, l’amico di Leonardo e il padrone della Jokonda, e Caterina de Medici figlia di Lorenzo e moglie di Enrico II re di Francia che non mi aspettavo con una faccia così pienotta, fino a re Sole e a Luigi XVI e Antonietta a cui venne tagliata la testa dal “popolo” della rivoluzione.
Per tornare a Paris intercetto il canale di Saint Martin davanti alla Gare della SNCF dove mi infilo tra i riflessi rumorosi, odorosi, caldi e colorati di un altro intreccio vertiginoso della storia del nostro Vasto Mondo. Fumi di spiedini di carne che sfrigolano su braci ardenti malamente sistemate sopra i carrelli del supermercato, pannocchie di mais arrostite allo stesso modo: le voci crepitanti e acute dei venditori neri si riflettono su quelle cantilenanti arabe, svolazzano sottanoni multicolori e cappelli di lana, cappucci e burnus marroni e i bambini piccoli sono appesi sulla schiena delle mamme. Lampeggiano rapidi grandi occhi e guance nere. La vecchia, vestita di nero, quasi sigillata, seduta per terra davanti al banchetto di non so cosa mi guarda con occhi curiosi e penetranti dal basso passare e spingere la bici con i calzoni corti.
“Che sia io quello strano?”
Seguo lento e pensoso il canale fino al Basin de la Villette, percorro tutta la Rue Lafayette fino all’Opera Garnier, passo sotto le ali lunghe del Louvre, oltre la Senna a Saint-German-de-Pres inizio a puntare la Tour Montparnasse, giro a destra, ecco l’edificio di vetro striato dal DNA del Labo, Boulevard du Montparnasse n 24, sono arrivato, mancano solo 10 minuti alle 18.
Note sul ritorno a casa (Elogio della SNCF)
Dentro la Gare de Lyon c’è un gran pianoforte a coda che alcuni viaggiatori suonano anche molto bene, almeno quelli che mi è capitato di sentire quella mattina. Torno a Modane con il TGV, salgo con tutta la bicicletta sulla carrozza 8 come se fosse il regionale per Foligno, alla faccia degli Itali e Freccerosse a cui nemmeno ti puoi avvicinare e tutto facendo il biglietto facile-facile con il furbotelefono. Il TeGeVe Alstom è una palla de fogo in mezzo alla campagna francese: non una città non, una stazione. Scorrono i dipartimenti come le foglie che cadono dall’albero d’autunno, passo sopra il Canal de Bourgogne, il Canal du Centre, passo dentro il Morvan, villaggetti e mucche schizzano via come gocce di pioggia sul vetro. Dopo Bourg-en-Bresse il treno rallenta, ripasso a Culoz, ecco il lago cristallino di Bourget, la molle Aix-les-Bains e la gare Challes-les-Eaux di Chambery. La stessa vecchina che a Parigi mi aveva chiesto di caricargli la valigia pesante mi cerca, e quindi lo stesso ragazzone vestito da ebreo ortodosso con tanto di treccine e cappello nero, come a Parigi, prende la mia bici. Ora fino a Modane mi compete un TER Bombardier con tanto di divani a mo’ di salottino.
Ultima cosa. Prima di arrivare alla gare de Lyon e prima di place de la Bastille, proprio dove il canal de Saint Martin interrato curva verso ovest, in Boulevard Voltaire, mi sono fermato davanti al Bataclan.
“Che magò!”
Dalla Media Marca 10 ottobre 2018
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Paolo Rossi
Scritto il 13 Novembre 2018
Complimenti per il godibilissimo diario, che non ti smentisce! I tuoi diari si bevono d’un sorso, e anche se uno è passato proprio da quei posti, uno come me per esempio, tu riesci a far vedere e sentire cose che ad un altro, a me per esempio, erano sfuggite… Il tuo viaggio è stato per me un tuffo nella fresca memoria del giro in Borgogna con mia moglie, che hai ripercorso per lungo tratto (da Macon a Migennes, una bella fetta). Complimenti per la bella figliola – sempre che sia lei il soggetto di una delle ultime foto…-, oltre naturalmente che per la Surly nuova. Scusa, una domanda: dove sono finite le due Salsa? le hai vendute o collezioni regine?!… Puoi non rispondere subito: leggo con piacere che verrai al raduno di Reggio! A presto
Andrea Agostini
Scritto il 15 Ottobre 2018
Ciao Larissa, grazie. Sarò a Reggio Emilia in attesa della vostra esperienza di quegli Orienti che, fìn da piccolo, ho sempre considerato fantastici e irraggiungibili mirabilia: Il regno del Prete Gianni, Gog e Magog, le Amazzoni, Taklamakan e financo il Giardino dell’Eden. À tout-à-l’heure.
Andrea Agostini
Scritto il 15 Ottobre 2018
Grazie a te Carissimo Ammiraglio che apprezzi i miei viaggi, anche se… più chiacchierati che pedalati.
Larissa Morelli
Scritto il 15 Ottobre 2018
Caro Andrea Purkaballo Agostini è sempre un piacere leggerti. Bella la Surly nuova nuova. Ci vediamo a Reggio! A Bientot Mon Ami.
Aldo Tortorelli
Scritto il 14 Ottobre 2018
Grande Andrea! Grazie per aver condiviso anche questo tuo racconto di viaggio, come sempre piacevolissimo da leggere e ricco di aneddoti e notizie storiche.
Andrea Agostini
Scritto il 13 Ottobre 2018
Tommaso, grazie per il tuo interesse. Foligno, per alcuni di noi di questa parte dell’Italia di Mezzo, è ancora il centro del mondo. Arrivare in bici fino alla valle dell’indo, sarebbe un’avventura degna di Alessandro Magno. In quell’Oriente hanno una ricchissima, partecipata ed includente quantità di mezzi alternativi di trasporto e potresti pensarci davvero. E poi devi fare un solo viaggio! Aspetto il racconto dell’attraversamento dell’ Altipiano barocco d’Oriente. Ciao Ciao
tommaso
Scritto il 12 Ottobre 2018
Con piacere noto e sottolineo la citazione per la mia Foligno (dalla quale vivo lontano, non lontanissimo). Mia figlia studia a Amritsar, Punjab, India. Ho fatto e rifatto i calcoli e anche pedalando fino a Teheran per prendere da lì l’aereo per Delhi non ce la faccio proprio, ci vuole troppo tempo. Però è figlia unica e non le ho alcun torto andandola a trovare senza bici, Approposito di bici… La Surly (Disc Trucker, credo) e proprio bella.
Andrea Agostini
Scritto il 11 Ottobre 2018
Ciao Corrado grazie. Da quanto credo di capire condividiamo anche le stesse emozioni di avere figli in giro per il Vasto Mondo. Giuro che la scritta a Tomar io l’ho vista! Anche se… i miei ultimi viaggi in Portogallo sono diventati un pochino “allucinati”. A Lisboa non mi stupisco più di parlare con Fernando Pessoa, ma ragionare, a Sagres attorno agli alisei della zona di convergenza intertropicale, con l’Infante Dom Henrique forse è un tantino “fuori” anche per me. Ainda muito obrigado. Merci encore.
corrado
Scritto il 10 Ottobre 2018
… ti avevo lasciato in terra lusitana ma vedo che anche nella gallia transalpina riesci ad arricchire il racconto del tuo viaggio con aneddoti e continui spunti di curiosità. Sai che non ricordo l’iscrizione “Che lo Mesto Purkaballo sia ammonito ….” che tu dici essere impressa a piccoli caratteri nella scala a chiocciola del chiostro del Convento da Ordem de Cristo del Castelo Templário de Tomar?? …però ci credo perbacco, forse semplicemente io avevo la testa per aria !! … E poi quando dici “..così come sono andato quattro anni fa a Berlino dal figlio grande … devo proprio andare dalla piccolina che studia malattie genetiche a Parigi…” AHHH, COME TI CAPISCO, I MIEI PIU’ SINCERI COMPLIMENTI !! … per il resto ho seguito tutto il tuo viaggio con grandissimo interesse, forse è solo una coincidenza ma un po’ per lavoro e un po’ per altro conosco molti di quei posti più di casa mia !! … e così leggerti è stato un po’ come tornare indietro nel tempo, insomma mi ha fatto veramente molto piacere !! … donc a bientot … atè logo!!
Andrea Agostini
Scritto il 10 Ottobre 2018
Supremo Praesidente de la Confraternita de li Raminghi de lo Biciclo. Molti ringraziamenti per la tua approvazione. Credevo di averla combinata proprio grossa questa volta è già mi vedevo a Reggio Emilia degradato e privato della tessera… Non sono adatto all’uso di tutte quelle mirabolanti macchine e tecniche che mettono insieme immagini, storie e suoni. Pesano e poi mi odiano, al massimo riesco a portare a casa qualche foto storta e mossa fatta col furbotelefono. Sono più adatto alle chiacchiere e a guardare i viaggi degli altri. Di nuovo grazie. A presto
Emanuele Bena
Scritto il 10 Ottobre 2018
Sempre bellissimi i tuoi racconti! Vieni a farci vedere qualcosa al raduno?
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Andrea Agostini
Scritto il 14 Novembre 2018
Grazie Paolo per i complimenti e per il tuo interesse. Ho ancora tutte le Salsa. Questo mio “furore” da collezionista mi deriva da un vecchio trauma subito al principio del mio cicloviaggiare, nel 2005 a Moncique in Portogallo, con una bicicletta a dir poco “inadeguata” ho evitato per vergogna un incontro con dei veri cicloviaggiatori muniti di vere bici da viaggio. Per venirne fuori continuo a farmi preparare bici secondo le mie mutevoli e personali idee, ora mi sono un tantino fissato con il Pinion… Si, il soggetto della foto fatta in un freddo tardo pomeriggio al Champ-de-Mars è la figlia Valeria, il motivo del viaggio. Di nuovo grazie e a presto a Reggio Emilia.